lunedì 30 aprile 2018

NOTE = QUATTRO POETI - di Gino Rago

Gino Rago - Nota su "Quattro poeti verso una moderna Antologia Palatina"

"Quale postura assumono Edith Dzieduszycka in 'Diario di un addio', rivolgendosi al suo amato Michele, Filomena Rago, in 'Volo a metà', verso il mai dimenticato Giacomo, Vito Taverna, in 'Le poesie di novembre', verso la sposa giapponese Midori [che in italiano significa "verde acqua profonda"] e Antonio Spagnuolo in 'Canzoniere dell'assenza', in cui il poeta-medico di Napoli volge l'occhio-sguardo-cuore verso Elena, l'amata compagna d'una vita?

Scrivono sulla scia di Montale[ ma soltanto come progetto di poesia], ma in realtà affrancandosi linguisticamente dal poeta de "Le Occasioni", i loro Xenia verso l'assenza e nell'assenza dell'amato/amata nel viaggio solitario verso l'onniscienza. E ogni poesia, così è anche in questo Canzoniere di Spagnuolo, è correlativo metafisico, oggettivo, di un mazzo di rose, il dono del poeta che lavora con fiori-parole, da depositare sulla lastra di marmo della persona che occupò il centro della vita di chi resta, battuto dalle tempeste della perdita, del vuoto, dell'assenza. "Desideravi un'altra primavera" dice Antonio Spagnuolo in questo verso struggente. Il quale verso, tuttavia, se suona come secco rimprovero al mondo capace di sopprimere il desiderio di Elena di un'altra stagione di rinascita e di erbe nuove e fiori, esso suona anche come secco, deciso gesto estetico, [lo stesso gesto che ho ravvisato nei versi di Edith, di Filomena, di Vito], un gesto estetico più forte della morte. Con questo gesto estetico, il poeta vince la morte, anche se a un certo punto, arreso, ma solo in apparenza, Antonio Spagnuolo bisbiglia, più a sé che ad Elena, "Non ho più doni!" [Attese]

In Prefazione, Silvio Perrella, dotto, padrone della lingua, capace com'è di entrare nella energia interna dei versi del Canzoniere di Antonio Spagnuolo, suggerisce l'idea che in fondo anche questa poesia è nel contempo "arte del linguaggio" e "arte conoscitiva" e se come arte del linguaggio si radica nella lingua, come arte conoscitiva la poesia di Spagnuolo è in grado di radicarsi nella storia, una storia personale ma che il poeta riesce a dilatare a storia universale [la stessa sapiente abilità poetica di Edith Dzieduszycka, di Filomena Rago, di Vito Taverna, nelle rispettive opere di poesia].
Una cifra [tutta di Spagnuolo] tuttavia merita io credo di essere evidenziata di questo libro poetico: i titoli che il poeta adotta per le poesie della raccolta [Tenerezza, Menzogne, Demone, Ricordi, Mani, Smerigli, Naufragi, Perle, Sonni, Luna, per citarne alcuni], tutti sostantivi e, come tali, possono essere accolti come i frammenti d'una vita in cui cercare gesti, atti, voci, suoni, fruscii, odori, colori dell'amata assente per riempirne l'assenza e catturarne il vuoto, come fa il vasaio di Heidegger con la brocca.

Ora, rivolgendomi a un lettore immaginario di poesia, sento di dovergli chiedere di non correre oltre. Di fermarsi un istante non già sulla mia nota ma sui versi che ho estratto dai rispettivi libri poetici di Edith Dzieduszycka , Filomena Rago, Vito Taverna e Antonio Spagnuolo. Perché chiedo al lettore questa prova? Perché in poesia il lettore non è meno «creativo» del poeta che fabbrica i suoi versi. E anche perché un testo poetico che sia tale non è mai materiale di consumo, né potrà mai essere una merce usa-e-getta.

Un testo poetico al contrario è sempre destinato al ri-uso poiché come insieme di parole strutturate, organizzate in forma stabile, un testo poetico se ri-letto non soltanto non si usura, non soltanto le parole del poeta non perdono valore, ma ne acquistano a ogni ri-lettura.

Aggiungerei ora che [ricordo a tale specifico riguardo alcuni scritti critici per me esemplari di Alfonso Berardinelli, di Giorgio Linguaglossa, di Rossana Levati, certe illuminazioni di Mariella Colonna su alcuni poeti contemporanei, di Silvio Perrella come prefatore al Canzoniere di Antonio Spagnuolo] ogni scritto critico, dalla semplice nota alla recensione al saggio e fino alla storia letteraria, dovrebbe avere la valenza di un «invito alla lettura» di un certo poeta; dovrebbe essere cioè «il dito che indica la luna» e nulla di più, anche se sappiamo che quasi tutti i lettori invece tendono a soffermarsi sul dito del critico, senza mai spingere lo sguardo sulla luna-poesia indicata dal suo dito.

In questa mia secca, essenziale nota “la luna” che indico con il dito, per gusto estetico e affinità di stile, è l’antologia di questi versi:

Edith Dzieduszycka, Diario di un addio

« Ora me ne accorgo
tu mi abiti sempre
quando penso che penso
ecco… penso a te »

Filomena Rago, Volo a metà

«[…]Dolce vita della mia vita
Un’alba dannata[…]
Ha spaccato il mio cuore.
E ha fermato il tuo».

Vito Taverna, Poesie di novembre

«[…]Anche a codesti giorni,
io chiedo il mio riposo,
scaduti i passaporti, ormai introvabili,
davanti all’impaziente doganiere».

Antonio Spagnuolo, Canzoniere dell’Assenza

«[…]L’iride improvvisa ha il mandorlo della gioventù
Qualche bisbiglio tra le linee tracciate nei cristalli
Per rilanciare promesse.
La tua assenza scivola…»

Sono versi che pur nelle differenti prosodie ma con in comune l’identico metro elegiaco possono benissimo andare a confluire in quella immensa miniera di epigrammi a noi giunta come Antologia Palatina [come mostra l’epigramma di Meleagro che da essa estraggo]:

Meleagro , Antologia Palatina

«[…] Ma al mattino si sentì un grido.
Il coro mutò in nenia funebre il canto.
La stessa torcia dopo avere rischiarato il letto nuziale
Accompagnò con la sua luce l’ultimo viaggio».

Gino Rago, aprile 2018

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