martedì 13 giugno 2017

RIVISTA = FERMENTI 245

Rivista “Fermenti” 245
Considerazione su poesie facenti parte del n. 245 (2017) di “Fermenti”.

- Poesia -

Ricco per numero di pagine e con un sommario articolato il numero 245 di “Fermenti”, rivista a carattere culturale, informativo, d’attualità e costume, diretta da Velio Carratoni,
In questa sede ci soffermiamo sulla sezione poesia, in particolare su “Le insegne non radiose” di Domenico Cara, “L’esperienza” di Ariodante Marianni, “Hai negli occhi il fulmine d’autunno” di Antonio Spagnuolo, “Extravaganti indignazioni” di Eleonora Bellini e “Il libro d’Ismaele” di Mauro Ferrari.

“Le insegne non radiose” è costituita da trentaquattro componimenti in massima parte brevi ed eterogenei per quanto riguarda le tematiche affrontate. Con questa sequenza Domenico Cara, studioso d’arte e di letteratura, editore e giornalista, conferma la cifra essenziale della sua poetica che è intellettualistica nella sua originalità, del tutto antilirica e fondata sulla riflessione.
A livello formale si registra un controllo in tutte le composizioni risolte nella loro compattezza. Nella raccolta si evince un pessimismo a partire dal titolo, scetticismo mitigato da una raffinata ironia e da un sottile psicologismo.
La scrittura è avvertita e ben cesellata. I versi procedono per accumulo nello sgorgare le immagini le une dalle altre. Si realizza un tono epigrammatico e gnomico nelle strofe in ininterrotta sequenza.
Le poesie hanno un carattere didascalico e lo stile è spesso anarchico, tendente all’alogico. S’inverano magia e sospensione in questi lavori che possiedono una forte densità semantica, metaforica e sinestesica.
Non mancano, nel tessuto linguistico, permeato da accensioni e spegnimenti, splendidi squarci naturalistici molto rarefatti. Visionarietà e magia sono presenti nel creare un’atmosfera di forte onirismo purgatoriale. Dominano armonia e musicalità arcane raggiunte attraverso il ritmo cadenzato e sincopato.
In ogni incipit i versi decollano sulla pagina per planare dolcemente nelle chiuse.
Alcune poesie esemplificano in versi concetti: questo avviene, per esempio, in quelle intitolate Turbamento, Allegoria quotidiana, Il pittoresco e Fermento. Altri testi hanno per nucleo di fondo le icone di animali e specie vegetali viste in modo sempre intellettualizzato.
Un cosciente esercizio di conoscenza quello di Cara nella serie composita e articolata architettonicamente.
“L’esperienza” di Ariodante Marianni, nato a Napoli, già segretario di Giuseppe Ungaretti, è costituita da tre poesie elegantemente risolte, che fanno parte di liriche inedite, composte probabilmente ai primi anni del duemila.
Tema centrale nei suddetti componimenti è quello del dolore che può essere superato attraverso la ricerca della felicità, tentativo raggiungibile, che non rimane una chimera. Secondo Marianni, che era ossessionato dal tema del labirinto nel suo poiein, la felicità ci è dovuta e può accadere.
Nella prima poesia, la più estesa, mentre il poeta pensa di stringere in pugno i bisogni dell’anima, s’imbatte in un giornale nel quale legge notizie di rapine, uccisioni, violenze, corruzioni e molti annunci economici.
La triste quotidianità degli articoli di cronaca, letti sul giornale stesso, ha per antidoto la pienezza della mente attraverso la poesia, il vivere poeticamente ogni momento come diceva Borges.
Nel vocio di alcune donne il poeta capta l’augurio per se stesso che una parte almeno del cammino che l’attende sia di calma, di fortezza e amore.
La terza poesia è contrassegnata da evocazioni suggestive di Roma e della sua storia attraverso l’immagine di un carretto evocatore di fascino, guidato da un cocchiere, che corre colmo, traboccante di carbone sui sampietrini.
Le composizioni, senza titolo, presentano il numero dal quale sono contrassegnate. Nella maniera affabulante e narrativa di Ariodante ritroviamo chiarezza insieme alla luminosità del dettato.
“Hai negli occhi il fulmine d’autunno” di Antonio Spagnuolo, nato a Napoli, inserito in molte antologie e che ha pubblicato numerosi volumi poetici, molti dei quali premiati, è una sequenza costituita da sette componimenti corposi. In essi anche i versi lunghi sono ben controllati. Nella silloge riemerge il tema delle recenti raccolte dell’autore, quello del trapasso della sua amatissima compagna di vita e del suo relazionarsi con lei che continua nell’immaginario rievocativo.
Da notare che Spagnuolo, pur soffermandosi sempre sullo stesso argomento, realizza un repertorio di variazioni che sembra inesauribile.
Il “tu” al quale il poeta si rivolge è proprio la consorte, nella sua presenza – assenza, della quale sono detti anche elementi fisici. Questi creano atmosfere erotiche, nei versi raffinati e ben cesellati, dove dominano metafore e sinestesie folgoranti.
In un componimento viene svelato il nome di Elena, che penetra nel sangue del poeta.
Nei testi si delinea un lavoro suggestivo, tramite architetture testuali che hanno qualcosa di barocco.
L’autore prova un forte struggimento per il silenzio della compagna che non profferisce “ti amo” quando il labbro rimane serrato.
Si realizza uno scatto e uno scarto memoriale che non è nostalgia, ma tentativo di una riattualizzazione dei momenti caratterizzati da un’immensa attesa sottesa all’amore. Solo con la poesia si può raggiungere la suddetta condizione e Spagnuolo ne è pienamente conscio.
Nei testi, paragonabili a partiture musicali articolate, emerge una liricità tormentata.
Il dolore e l’ansia sono controllati e sono evocati eros e pathos nel desiderio del poeta che la moglie non sia morta. L’angustia diviene produttiva e catartica nei versi ben controllati e cesellati.
Nel fluire icastico dei sintagmi si realizzano continue analogie e straniamenti che creano atmosfere di un’atemporale magia, che diventano varchi salvifici.
In “Extravaganti indignazioni”, breve silloge costituita dai componimenti L’illuminazione della biblioteca, La manutenzione e Il ringhio, Eleonora Bellini, poetessa e scrittrice, ispiratrice e dedicatoria del volume Un amore senile, di Ariodante Marianni, realizza una poetica nello stesso tempo vaga e inquietante nel serpeggiare del tema della morte e del suo senso, connesso esplicitamente a quello del male.
Si tratta di un fare poesia descrittivo nella sua vena sarcastica e lo stile è caratterizzato da chiarezza e narratività.
L’illuminazione della biblioteca è una composizione originalissima per il suo tono affabulante, permeata spesso da nonsense, che si potrebbe definire un racconto in versi.
C’è nella rappresentazione della nuova illuminazione della biblioteca stessa una ricerca dei particolari più minuziosi e si evince dal discorso che l’autrice rimpiange la precedente illuminazione. Questa diviene simbolo di una storia migliore, di un passato nel quale la stessa luce diveniva metafora della pienezza.
Quelle prodotte dalla Bellini nei testi in questione, come dal titolo, sono immagini stravaganti. L’indignazione si coglie nell’incipit del suddetto componimento, mista a dolore, quando la poeta afferma che l’illuminazione della biblioteca stessa fu affidata ad un imbecille. Qui viene trattato il tema del lavoro congiunto con quello spinoso della meritocrazia, perché è detto che lo sprovveduto mai avrebbe potuto degnamente illuminare piazze, incroci, sale consiliari e uffici di manager.
Gli fu affidato l’incarico forse per motivi clientelari. E qui il discorso si fa originalissimo perché è trattato il tema economico nel privato, che si riflette nel pubblico.
C’è cinismo e dissacrazione nei versi della Bellini quando afferma che le lunghe lampade usate sarebbero state più intonate agli obitori, nelle sale d’autopsia, negli hangar, nei depositi bagagli e forse anche nei magazzini dei prosciutti di Parma.
Così Eleonora produce sensazioni e atmosfere di tipo kafkiano, inquietanti e misteriose, nonché surreali.
Tinte grottesche e quasi macabre e cimiteriali si ritrovano in La manutenzione. In essa si parla della manutenzione stessa di un futuro cadavere (espressione intrigante, ambigua e paradossale) con vari riferimenti alla corporeità. Infatti viene manifestato il fitness come rimedio e come alimentazione acqua in abbondanza, verdura e frutta secca e anche cosmetici per le rughe (creme e riempitivi), gel intorno agli occhi e infine a tutto il corpo massaggi d’Oriente sopra i prati.
Nelle due strofe finali del suddetto componimento l’autrice si chiede se si può dilatare il tempo e assaporarlo come si fa coi bei pensieri consegnati ai più riposti segreti della mente. Nel distico che chiude il componimento la Bellini risponde pessimisticamente alla suddetta domanda, affermando che la vita è breve e conviene ingurgitarla.
Nel componimento più breve, Il ringhio, emergono descrizioni sconcertanti nella loro icasticità. Si parla di una prima cittadina che, oltre a lanciare un ringhio, con la bocca, vorrebbe anche morsicare.
Ella, in un sogno ad occhi aperti, se la prende, sputando ingiurie, contro imprecisati volumi allineati. A tali imprecazioni risponde il silenzio misterioso dei personaggi dei libri e poi un volume, una raccolta di leggi, in un’atmosfera irreale, le plana sul capo, quasi animato da un meccanismo, una forza oscura.
Una crudezza di toni permea le poesie della Bellini anche nella chiusa del suddetto componimento, quando la prima cittadina tace attonita, non tanto per la temeraria impudenza di quel libro, ma per avere inghiottito un dente.
Nelle descrizioni di Eleonora, nell’enuclearsi del peggio possibile, è presente un forte controllo formale e la materia, sempre incandescente, non si apre mai alla mera disperazione, grazie all’ingrediente dell’ironia.
“Il libro di Ismaele” di Mauro Ferrari, nato a Novi Ligure, direttore di Puntoacapo, dell’Almanacco Punto della Poesia italiana e della Biennale di poesia d’Alessandria, è una serie strutturata in sette poesie.
C’è da evidenziare che nell’Antico Testamento biblico Ismaele è il figlio di Abramo e della schiava Agar e che Sara, moglie di Abramo, s’ingelosisce vedendo giocare Ismaele bambino con Isacco, suo figlio.
Nel racconto biblico Dio disse ad Abramo che dallo stesso Ismaele sarebbe nata una grande stirpe.
Ferrari, rifacendosi alla Bibbia, nel primo componimento, che sembra fare da prologo, afferma che Ismaele era tornato, aggrappato al suo nulla per galleggiare, quasi morto senza aver vissuto, avendo schivato rischi ed errori.
Ismaele è conscio di essere lui il predestinato nel raccontare quella vera storia essendo alla ricerca della sua identità come se dovessero definirla gli altri. Vuole farsi raccontare chi era, andando per il mondo.
I versi di Mauro, connotati da magia e sospensione, creano atmosfere vaghe, essendo colme di un’armonia rarefatta. Negli altri sei componimenti è stabile quasi sempre la presenza di un “tu” al quale il poeta si rivolge, presenza che, presumibilmente, è Ismaele stesso nella sua misteriosa ricerca di pace e di salvezza.
Affabulante è la poetica del Nostro in queste composizioni a volte chiare, nitide e luminose, nelle quali c’è una forte dose di narratività, che potrebbero essere definite di prosa poetica.
Sembra che in ogni attimo, nel dipanarsi della scrittura, la voce del poeta si metta in relazione con Ismaele stesso, uomo eletto, per rasserenarlo, tranquillizzarlo e per trarlo in salvo dai pericoli:-“…/un braccio teso può salvare, trarti via//”.
Lo stile è sinuoso e avvertito e la forma controllatissima e in alcuni passaggi il tono si fa quasi iniziatico:-“/E poi considera: non sai/ in fondo, che abbraccio vai cercando/ e quale voce ti darà la voce; che fine/ per i tuoi troppi inizi. Se guardi/ in basso vedi le offese/ di chi ha percorso questa stessa ascesa:/…”.
Nei suddetti sintagmi in un’aura magica ci si rivolge con urgenza proprio a Ismaele che poi sale per la massima pendenza, senza smuovere un sasso, come se non avesse impronte.
La trama, nella sua visionarietà, si può considerare di qualità, anche per la sua originalità e ricerca umana biblica. Quello che emerge, nonostante le tante difficoltà che incontra il protagonista, è una vena di ottimismo perché il personaggio veterotestamentario non soccombe ma trova alla fine la vittoria.
Infatti, non a caso, nell’ultima delle poesie di quello che potrebbe essere considerato un poemetto, Ismaele riferisce a genti amiche di come fu salvato, lui, che avrebbe avuto vita e dimora duratura.
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Raffaele Piazza









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