lunedì 1 febbraio 2016

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

FRANCESCA LO BUE : MOIRAS -- Edizioni Scienze &Lettere - 2012 pp.143 Euro 12.-----

“ Essi son quelli che vengono dalla gran tribolazione, e
hanno lavato…” Ap.7, 14

Si direbbero che sono due le fonti da cui trae ispirazione Francesca: la classica spagnola e la latina. Ma poi, ripensandoci, si riconosce la grande polla da cui scaturiscono tutti i rivoli che sono le lingue e le letterature romanze, intrecciatesi a loro volta a figure letterarie e poetiche di altra origine altrettanto nobili e antiche.
Così il titolo della raccolta poetica Moiras –coloro che garantiscono l’ordine dell’universo- prefigura lievemente il tema che accomuna le liriche. Un motivo predomina: Roma.
Non la Roma delle passeggiate primaverili sul Lungo Tevere e a Villa Borghese, ma la Roma civitas, la città idea e modello, la città che contiene tutte le città e ancora le sue precedenti perché per esse e con esse si conforma, disegna e plasma, e così appare agli occhi del poeta.
Roma in rovina e Roma ricostruita, e ancora in rovina e ancora ricostruita. E l’umanità tutta che per queste strade ha transitato, e piazze e palazzi che ha aggiunto e tolto, che ha modellato per il mio, nostro, diletto odierno.
Se nel sonetto Quevedo evoca
“Buscas en Roma a Roma ¡oh peregrino!,
y en Roma misma a Roma no la hallas; “
Francisco de Quevedo y Villegas A Roma, sepultada en sus ruinas,

chiara risponde la poetica di Francesca
“Ognuno possiede tutti gli altri,
ci sfuse nella fiumana petrea del respiro degli altri,”
Francesca Lo Bue Romasola

Urgente fu per Quevedo il tema del ubi sunt, la fugacità della vita; Francesca Lo Bue osserva il problema sotto il versante uomo-catena dell’umanità: noi che portiamo con noi e dentro di noi l’afflato di chi ci ha preceduto.
Allora, rimembrando la tela di Penelope, si vede il testo-tessuto-tessitura che la parola come navetta di telaio, nel tempo completa la trama. A coloro che prima dissero –Virgilio Egloga X, Quevedo A Roma, sepultada en sus ruinas- la parola di oggi risponde al richiamo; fare e rifare la stessa città come mandala paziente perché cosi si comprende la catena dell’umanità.
Nella sua raccolta poetica anteriore, Francesca Lo Bue aveva suscitato l’immagine di Libro errante, libro-scrittura che va scrivendosi col passar di mano in mano, consegna di generazione in generazione, da maestri a studenti, e sarà completato alla fine dei tempi.
Altra problematica dell’autrice è la traduzione; e trattasi di traduzione poetico-letteraria, quella che concede attenzione al suono, all’evocazione e ai sensi, allo stato d’animo. A questo mira la traduzione del sonetto di Quevedo.
-“E’ come se qualcun altro avesse gia scritto qualcosa che mi appartiene, qualcosa che spiega me stessa, che già era in me”, mi confida Francesca.
Così è anche con i testi degli stornelli romaneschi. Il gioco di traduzione –o di interpretazione piuttosto- qui si intreccia mirabilmente: due quartine in italiano parafrasano il testo dello stornello Carcinacci; poi di stornello e parafrasi si dà la traduzione in spagnolo. La citazione della barcarola Il fiume de Roma è molto emozionante e significativa: Francesca ode il canto ammaliante di questa umanità passata e fisicamente morta, viva nei vivi che di loro serbano i segni, le parole e la memoria.
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AURELIA ROSA IURILLI

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