giovedì 3 dicembre 2015

CONSIDERAZIONI SU POESIE = di DOMENICO CARA

Considerazioni sui testi di poesia di Domenico Cara, facenti parte del n. 243 (2015) di “Fermenti”.

Nella sezione dedicata alla poesia, nel numero 243 di “Fermenti”, rivista pubblicata con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma, diretta da Velio Carratoni, ci soffermiamo su “Illesi, esili numi” di Domenico Cara,
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“Illesi, esili muri” di Domenico Cara, studioso d’arte e di letteratura, editore e giornalista, costituisce, per le sue notevoli dimensioni, tout-court una silloge, una plaquette, formata da venticinque componimenti, spesso lunghi, tutti suddivisi in strofe.
L’opera, proprio per la sua grande estensione, si può considerare un unicum, tra quelle pubblicate nelle riviste di letteratura militanti.
Già il titolo della raccolta, nel quale sono nominati divinità di ascendenza pagana e mitologica, numi illesi anche se esili, ci fa riflettere sul valore simbolico degli dei, inseriti nel discorso creativo.
Essi divengono custodi della poesia stessa, salvifica e salutare perché emanazione che viene dall’alto.
Del resto anche il termine “musa” è di origine classica, greca e romana, come i numi.
Nel linguaggio, anche contemporaneo, si adopera questa parola per indicare una figura femminile, ispiratrice non solo dei poeti, ma di tutti gli artisti.
Cifra essenziale della poetica di Domenico Cara, rivelazione della sua produzione più recente, che avevamo già individuato nella silloge Soglia di attese, rauche urgenze, inserita nell’antologia Dentro spazi di rarità, “Fermenti” 2015, è quella di un forte attaccamento alla vita, amata in tutti i suoi aspetti, che vengono detti in versi, attraverso immagini a volte chiare. ma, in molti casi, anche oscure.
Non mancano spunti introspettivi che sondano lucidamente le tonalità dei sentimenti umani a volte colti in maniera inquietante.
Questo nominare con urgenza avviene attraverso gli strumenti del poeta esperto, intelligente e scaltro, che, padroneggiando con acribia la sua materia, arriva ad esiti altissimi.
Con una scrittura icastica e densa al massimo grado, l’autore realizza un tessuto di parole, di sintagmi che si fanno immagini, in maniera mirabile.
Lo stile e la forma sono controllatissimi ed ogni singola composizione sembra librarsi sulla pagina senza il minimo sforzo.
Un poiein della descrizione e dello stupore sembra quello espresso dal poeta calabrese in componimenti come “Pomeriggio nel verde” e “Fonte d’agosto”.
Una vena affabulante, che si esemplifica nello scandirsi dei versi precisi e scattanti, compatti e luminosi, caratterizza ogni singola strofa, armonica parte delle varie composizioni..
Una natura nella quale dominano le manifestazioni vegetali è la protagonista della prima poesia con l’incipit altissimo:-“L’erba ha i suoi fittizi movimenti/ ma conta su una lingua naturale”.
Con accensioni e spegnimenti si svolge qui il procedere del fluire del discorso e anche l’erba sembra essere provvista di linguaggio, in un riflettersi della poesia su se stessa.
Non va letta come tensione neolirica, quella del poeta, ma piuttosto come risultato di una fertile ispirazione di carattere sapienziale.
Si realizza in un’epifania intellettualistica, in un inesauribile sgorgare di figurazioni, l’una dall’altra, nelle quali emerge anche l’io poetante che respira e osserva le sterpaglie, in fusione ontologica perfetta, quasi in simbiosi, con la natura stessa.
L’erba medesima racconta in una maniera che, per la sua compostezza, nonostante la natura composita del dettato, potrebbe definirsi classicheggiante.
Ma in altre composizioni predomina un tono oscuro e vagamente anarchico, in una produzione dalle venature filosofiche e psicologiche che tende a sfiorare l’alogico.
Vengono detti gelosia, pathos e desideri e un occhio che si ribella ai sussulti.
Anche qui, però, si scorge un senso di vitalità e il dolore controllato, che è, nelle intenzioni del poeta, punto di partenza, diviene elemento per giungere alla superficie, per riemergere e pervenire alla struttura delle cose, dopo che l’ansia si è specchiata sul fondo.
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Raffaele Piazza

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