sabato 31 maggio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE URRARO

RAFFAELE URRARO: “La parola incolpevole” – Ed. Marcus – 2014 – pagg. 64 - € 10,00
Lo smarrimento che potrebbe accogliere il lettore per il ricercare involontario “quale” poi sia la colpevolezza della “parola” , sospesa essa sola nel vortice dei pensieri e delle immagini, si arresta luminosamente innanzi ai versi perfettamente intagliati , sia nella musicalità della pagina , sia nel calore della attenta disponibilità culturale del poeta.
“Quando cade una stella / non credere che si tratti / di una luce che muore / o di un difetto ottico / è il segno che le nostre parole / l’hanno ferita a morte.” – questa violenta certezza che la “parola” abbia la potenza distruttrice , e nel contempo evocatrice , o meglio ancora creatrice , disvela il dramma psicologico che la profonda consonanza simbolica sia il vero simbolo di purezza e di illusione di ogni pensiero riposto nell’ambito della poesia stessa. La poesia di Urraro nasce come frase musicale , nella testimonianza di una quotidianità tutta sospesa tra la bilancia del tempo ed i frantumi del fantasma di una ricchissima conoscenza e di una “multi colorata” memoria. Prevale lo sguardo proiettato verso le ombre del mistero , il mistero della vita e della morte, il mistero dell’aurora che potrebbe sembrare inutile attesa , il mistero del silenzio che filtra gli abbandoni ed i ritorni , il mistero di un mormorio anonimo che tenta i lembi dell’impazienza, il mistero dell’indifferenza che vibra tra le scaglie di specchi .
Il discorso continua nei suoi vari strati, nella disponibilità che possiede alla radice una forte necessità dialettica, che nella realtà ha una importanza fondamentale sia nei rapporti umani , colloquiali , sia nella nostra stessa rappresentazione capace di obiettare, di eccepire , di esporre , al di fuori di ogni monotonia. Rincorrendo ritmi , visioni attonite della natura, riflessi sapienti della conoscenza , rivelazioni della metafora , ecco che la ricerca della “parola” rappresenta il passaggio insostituibile tra l’immaginazione ed il sussurro del sub conscio, nella significazione puramente soggettiva tra la straordinaria competenza filosofica e la declinazione diversificane della poesia. “Si rotola il vento per le strade / per i vicoli / per le strette feritoie della terra / ma quando arriva sulla riva del mare/ allora trova la sua libertà / il vento libero sul mare / fa pensare al respiro profondo dell’universo / che ha un’anima più grande del cielo / e più profonda della terra.” L’inquietudine ha un attimo denso di silenzio, rotto solo dal frullo stanco ed illuso del divenire , saettante nella significazione e profondo nella semplicità.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 28 maggio 2014

POESIA = LEOPOLDO ATTOLICO

SERA DI CASA MIA

Sera serena di piccoli rumori
richiami rubacuore nell'aria settembrina.
Se stride una persiana al tocco di una mano,
come un segnale le risponde il falsetto di un gatto
querulo, su un davanzale

Dal colore che smuore
trasmigra e si diffonde opaco
nelle immobili ombre
un dolce smarrimento
l'accenno di un saluto
un passo lieve di sonno

Si precisa lontano l'ultimo fanale
il più solo
il più bello
*
CANTO DI MEMORIA


Canto di memoria
tremante febbre a tentoni nel tempo
sguarnita commozione libera da orpelli
come bandiera al vento.
Per te, rigoglioso
si inalbera il silenzio
e si apparecchia la quiete
come abitudine antica,
estranea al sentimento;
quel sentimento oscuro e desueto
tra desiderio e timore,
turgore adulto di una visione antica e dolce
specchiata sulle labbra diafane del mondo
*
ADDIO DI PRIMAVERA


Addio di primavera
squillo di luce piena
gioco affettuoso
maestoso nella sera

Per te nell'aria lattescente
si sciala l'emozione
e si consegna al cuore di chi la sente...

E si perde
e si disfa estatica
una purezza prodigiosamente giovane
svelata all'improvviso ad incidere il cielo
nell'empito del viso
*
LASCITO


A quanti mi conobbero ho sempre dato
un viso dimezzato
una cedola vana
un buono per l'ingresso già scaduto.
Non ho mai visto sul viso
il sangue di nessuno
il va' pensiero
il paso doble che illumina il vissuto
in qualche modo ricreato insieme.
Non l'ho mai cercato né voluto

Ho amato d'ogni altro e di me stesso
sempre quel poco di mistero
che si affida a un diario,
al peso di un fondale
geloso del suo buio freddo calore,
come un sole perduto
*

TRAVET


Gli occhi che percorrono la neve
sanno sin troppo bene la gioia che li porta;
dare un calcio al dovere
e correre inistrada;
a fare il filo al cuore
che ricorda
d'essere stato anima di neve

Ma è quasi subito
ministero o banca

*
LA POESIA ALLEGRA

La poesia allegra
che da tanto mi chiedi,
fiotto di gioia che mandi a gambe all'aria
questo bel florilegio di malinconia,
sarebbe bella e pronta
e in abito da festa.
Solo
è come una farfalla
che non si decide a posarsi
su una primavera che gli sta un po' stretta.
Ma , al tempo:
non per disaffezione o per mancanza
d'una comune lunghezza d'onda;
solo per troppo amore per un'utenza
che forse mai gli sarebbe perdonata
*

(Dall'inedito Piccola preistoria, 1964-1967 )

Leopoldo Attolico
*

domenica 25 maggio 2014

NOTA CRITICA = NINNJ DI STEFANO BUSA'

"Soltanto una vita", romanzo di Ninnj Di Stefano Busà

a cura di Floriano Romboli

Non può che suscitare interesse la prima prova narrativa di Ninnj Di Stefano Busà, poetessa molto conosciuta e apprezzata per le numerose raccolte di versi pubblicate nel tempo con vivo consenso dei critici e del vasto pubblico dei lettori; e il romanzo Soltanto una vita, apparso nel febbraio scorso per i tipi della Kairòs Edizioni di Napoli, si rivela un’opera compatta, stilisticamente coerente, scritta con sofferta, intensa partecipazione etico-sentimentale perché concepita sul fondamento di convinzioni ideali salde e profonde.
Il nuovo lavoro, ambientato in Argentina e in un contesto sociale alto-borghese, essenziale e lineare nella sua fisionomia strutturale-organizzativa, non è d’altronde privo di suggestioni poetiche, giacché l’elaborazione romanzesca si anima sovente di accensioni liriche, innanzitutto di fronte allo spettacolo entusiasmante e irresistibile offerto dalla natura:
“Il panorama dal golfo è mozzafiato: un mattino di settembre inoltrato, in cui la luna sparisce dall’orizzonte ancora assonnato, una rada nebbiolina penetra nei respiri sottili e affannosi dell’estate appena trascorsa, che sta già obbligando le foglie e le chiome degli alberi a tramutarsi in giallo ocra e arancio. Si avverte nell’aria un tremore smarrito di teneri singulti,…quasi uno stupore commovente e tenero, un languore malinconico, una sorta di addio all’estate che già si allontana a piccoli passi, lasciando nell’animo una nostalgia di fondo inesprimibile “(p.37)
Le stesse vibrazioni lirico-meditative ricorrono nel testo allorché l’autrice considera la vicenda umana, la storia intima degli individui, attraversata contraddittoriamente da una spiccata aspirazione alla felicità e quindi da un insopprimibile desiderio di auto-realizzazione personale, e dall’amara esperienza della delusione provocata dai numerosi ostacoli, dalle tante difficoltà materiali e spirituali che costellano la quotidianità di ognuno.
Se l’equilibrio naturale può essere sconvolto dall’uragano, come si racconta proprio all’inizio (“ L’oceano si apre improvvisamente, come una valva sul fondale lussureggiante di un’immensa esplosione di luce (…) e pur tuttavia l’amabile dolcezza di quel tratto d’insenatura stupendo, situato sul litorale atlantico…oggi appare devastato, almeno in parte, martoriato dal ciclone che si è abbattuto con furia sterminatrice”, pp.12-13), pure la stabilità interiore della protagonista, Julie Lopez, risulta seriamente insidiata dalla comparsa di una forma molto grave di malattia:
L’ordine è mutato, sente che nulla sarà più come una volta; la malattia l’ha segnata inevitabilmente, ora vi è come una linea di demarcazione, uno spartiacque che consegna una forma di turbamento aggiuntivo, e che Julie non può riordinare nel breve tempo: il male ha sconvolto taluni equilibri, ha stravolto molti fili che ora restano allo scoperto, in modo quasi indecente; spetta ora a lei ripristinare e assegnare una dimensione nuova a ogni più piccola tessera del puzzle (pp.77-78)
È tale lirismo riflessivo che nella narrazione valorizza l’intersezione fondamentale dell’àmbito naturale e di quello umano, gettando luce sul rapporto, di rilievo decisivo, fra uomo e natura.
Questi, nella costituzionale ambivalenza di animale di natura e anche di cultura, ha inteso spesso rivendicare la sua innegabile specificità, in base alla quale ha costruito la storia, la civiltà, il proprio imponente patrimonio tecnico-scientifico; ha nondimeno avvertito in molte circostanze il bisogno di ritornare alla natura, di reimmergersi nei suoi ritmi armoniosi e pacificanti, di rinnovare, attraverso la relazione con essa, il dialogo con Dio, come accade ai personaggi principali del libro:
Si dirigono tutti in quel luogo e avvertono che il tempo, lì, sembra essersi fermato come d’incanto. Si è come sciolto quel groppo o nodo che, in genere, tiene stretto il genere umano al suo travaglio, si sono liquefatti ogni impiccio, pena, disillusione, in un idioma naturalistico che tutto idealizza e anima di quieti incantamenti (…) In quel luogo, tutto è un coro alla filosofia del creato, che ha saputo così bene orchestrare: suoni, sapori, odori, stille lucenti di un complesso riproduttivo chiamato a dare il meglio di sé (p.167)
Certo è che la vita dispensa momenti di letizia e altri di pena, poiché “ la vita è assai bizzarra; il suo fascino strano e misterioso, talvolta, ci porge gioie e dolori, ma ci consente anche di superare il guado e salvarci, oppure c’ inebria o ci blandisce, dopo averci fatto sfiorare il terrore”(p.137); e quasi a conferma di un’idea siffatta Julie dichiara in un momento toccante della sua esistenza: “Ho visitato l’inferno e ora sono al settimo cielo”(ivi).
L’uomo però può fare della sua vita – che è soltanto una vita – un’esperienza serena e appagante, se saprà fare uso saggio e conveniente della propria peculiarità intellettuale-morale, ispirandosi ai valori della tenacia, dell’auto-stima, di un’attiva e comprensiva solidarietà, della speranza che “dalla notte cupa risorgerà sempre la più luminosa aurora”(p.158), e soprattutto disponendo l’animo all’amore, sentimento di cui nell’opera viene esaltata con toni commossi la centralità nel succedersi delle generazioni:
Infine, chi regge la storia di ognuno è sempre l’amore, che è anche il fattore impalpabile dell’inconscio emozionale, ne designa l’orbita gravitazionale all’interno di ogni nostra proiezione esistenziale (p.63)
Se l’amore s’impara ( come una volta si scopre a pensare ancora Julie), s’impara altresì l’amore per la vita, alla quale nel romanzo la scrittrice – riservandosi risolutamente il ruolo di narratrice onnisciente – tributa un omaggio appassionato che ha nel descrittivismo insistito, a tratti prezioso riscontrabile in molte pagine il più evidente corrispettivo formale.
Talora il gusto per le descrizioni lunghe e raffinate rischia di appesantire il discorso narrativo, determinando cadenze ripetitive (penso in particolare alle parti dedicate agli interni lussuosi delle dimore aristocratiche, agli abiti dei personaggi, sempre debitamente firmati, ai menù dei pranzi e delle cene di gala e via elencando), stilizzazioni irrigidite nocive all’autenticità degli ambienti storici e umani rappresentati; ma il messaggio complessivo del libro – l’invito a dare alla propria vita le caratteristiche di un’esistenza compiuta e originale, significativa e mai opaca ed etero-diretta – si trasmette al lettore con forza persuasiva.
Floriano Romboli

venerdì 23 maggio 2014

RICORDO = VELSO MUCCI

"Disintossicazione"
*
Uno di questi giorni mi vedrai sparire,
inghiottito dai ricordi.
Quando i veleni quotidiani
cominciano a venir meno
la memoria diventa un oceano.
Per qualche istante sarò anche buffo da vedere,
mentre mi dimeno
sulla cresta di un ricordo più alto degli altri;
poi il risucchio sarà così forte
che colerò per sempre a picco
nella profondità della memoria.
*
-Novara , aprile 1959 -
*
Velso Mucci
( da "Carte in tavola" ed. Feltrinelli - 1968 )
**
Velso Mucci nacque a Napoli nel 1911 e morì a Londra nel 1964 --

martedì 20 maggio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

Raffaele Piazza : "Alessia" - Ed.Rosso Venexiano - 2014 - pagg.120 - € 12,00 –
---prefazione---
Raffaele Piazza è un giovane , non più tanto giovane poeta, che gioca con Alessia , si nasconde con Alessia , insegue Alessia , si manifesta con Alessia , insomma si fonde con questa luminosa Alessia , giorno dopo giorno , per tessere con lei le più svariate coincidenze di una realtà tutta fiabesca e colorata. Conosciamo Raffaele da decenni e possiamo senza alcun dubbio affermare che egli con la poesia , con la vera poesia , ci sa fare, sia per una scrittura sempre accorta e calibrata , sia per una ricerca culturale, approfondita e sicura.
Non la lingua ma i codici linguistici distinguono nettamente tra realtà e sogno , tra il dicibile, che molto spesso si condivide passivamente con altri , ed il tessuto delle tracce , che si illude di prevaricare il tempo , custode della partecipazione all’essere. Qui sono i gli attraversamenti dei codici tenendo uniti i contrari per mostrare dove la memoria fa corpo con la parola e con la cosa, con l’invisibile ed il visibile, per partecipare al singolare progetto individuale che causalmente e singolarmente coinvolge il poeta medesimo in un vortice sotterraneo che riporta all’inconscio per divenire ritmo. - “Alessia illuminata, plenilunio/ mistico e sensuale sulle cose di sempre,/ la casa, la stanza, la città/ il rosso del telefono. Tutto si ferma./ Tutto accade. Alessia rosa vestita/ per la vita nell’attesa dell’incontro …” – E’, questa Alessia, la figura predominante che ci accompagna nello sciogliersi dei versi , tutti armoniosamente coesi per comporre un “canto” che sia il ritmo gioioso ed improvviso del distacco quasi sorridente. Un muoversi da fiaba in alcuni balzi apparentemente destinati a rimanere per lo più inascoltati , o meglio proposti di fronte al mistero di un subconscio , sempre vigile e attento agli impulsi graffianti. Personaggio che crea la sua ombra tra gli strani , compatti e sicuri pregi che la sua mano delinea , come uno stilo acuminato e svelto , nel sopraggiungere di accenti , che hanno bisogno di comprendere , di scoprire , di raccontare, con il filtro della memoria , o con l’illusione di un progressivo incipit, una esistenza che l’amore , immaginato o desiderato , rappresenta nella sua forte intensità simbolica e folgorante. Raffaele Piazza ha al suo attivo una lunga militanza poetica , con vari libri e numerosi interventi critici , e con perizia , cultura, accortezza , riesce a creare testi sempre accattivanti e suggestivi. Egli ha nel suo “arco” una duttilità linguistica veramente notevole e la sa usare senza abusare. Le assonanze , i rinvii , le proposte , i suggerimenti , gli incisi sono delle figurazioni ideali attraverso le quali egli riesce a disegnare un tessuto sempre compatto ed attento ai risvolti culturali. Le risoluzioni che egli opera nella sua officina quotidiana diventano storie cantate, una musica da tavolo , uno strumento personale che bisbiglia tracce non solo per le illusioni ma anche per il riflesso di un sottile vetro interiore che lo distingue e lo pone fra le connessioni più sorgive e limpide. “Sera ad intessersi di Alessia/ i capelli con scia luminosa/ a poco a poco nella chiarità/ della cometa intravista dall’Osservatorio/ di Capodimonte con Giovanni:/ visione duale schermata da tracce/ iridescenti: tutto accade fino/ alla stradina della palazzina/ dove vivono famiglie. A poco/ a poco con la cometa degli occhi/ che passa ogni secolo/ a detergere lacrime di vetro.” Lo scavo interiore non si abbandona alle apparenze e cerca di penetrare nei paradossi intentati della psiche , senza mai forzare la mano per immaginare i testo segreti o sedimentati nel profondo, così da rafforzare l’impressione che in queste liriche si raccolga una originale vaghezza di post moderno, per trarne infine un originale sperimentalismo tutto teso alla evanescenza. L’esercizio incessante , in questa scrittura, sarà quindi cifra di approccio alle pieghe di una costante liberazione dalla sorpresa , mentre nella sorpresa stessa incidono i versi di chiosa o di sospensione. Coriandoli il nutrito anelito di versi che in un apparente leggerezza dei contrasti diffonde interruzioni e assembramenti , una distinta soffusione di movimento. - “Sera a intersecarsi con quella/ precedente che non torna./ Il tempo del giardino, ragazza/ Alessia in limine con l’aria/ Ad accadere a svettare freddo/ vento sul viso di donna/ nell’intessersi il sorriso con/ di Giovanni la linea delle labbra/ rosse nel senso delle cose/ nel resistere all’attimo/ fuggente a portare Alessia/ oltre il fondale del dolore/ per addentare della mela/rossa la gioia.” –
Il canto ripetuto diventa un armonico comporsi di tasselli come volatile , soffusa , interruzione dalla improvvisa intuizione del movimento. Dunque scrittura che diventa germoglio , possibilità, promessa , illusione , richiamo attraverso molteplici aperture alla visione della mente che ricerca, vivida e vivificante , per una realtà che sembra non lasciare scampo ad un ragionevole dubbio che si insinua tra le curiosità di un ritorno , un frammento pervaso di amarezza , una tentazione ricca di sorprese armoniose. Nessun rimpianto è sospeso e controluce scattano possibili passaggi di aneliti , di dolci pieghe, di nascoste ispirazioni verso graffianti e un poco amare rivelazioni. Alla memoria collettiva è dunque il ritmo all’interno del tempo , un tempo che, nelle sue continue oscillazioni, impone i suoi spostamenti tra paesaggi inventati o metafore avvincenti. Ecco che , costellata di squarci meta letterari, qui la trama si cuce in un sistema sottile e al tempo stesso corposo per le sue improvvise dinamiche che interagiscono con gli elementi casuali , per la vasta tastiera che perdura e sfida all’ombra di uno scandaglio complesso , e consapevole di spasmodiche sfaccettature. Tutto si accorda con l’acutezza visiva dell’autore , nella poetica dal tratto esistenziale e dagli accenni sottintesi di una personale filosofia, chiusa in quegli anfratti dei frammenti memoriali, che si mescolano a visoni inconsuete o a tratteggi fantastici.
ANTONIO SPAGNUOLO


giovedì 15 maggio 2014

NOTA CRITICA = FRANCESCA LO BUE

Pianeta Poesia 2014- 2015

FRANCESCA LO BUE

Moiras Edizioni Scienze &Lettere 2012 pp.143 Euro 12


Abbiamo conosciuto Francesca Lo Bue nel 2010 quando ci ha fatto intravedere, presentandolo a Pianeta Poesia, il suo “Non te ne sei mai andato” che l’autrice ha dedicato alla terra natale, la Sicilia, e soprattutto al padre Salvatore prematuramente scomparso.
Un libro bilingue, come le raccolte che seguiranno, perché Francesca è vissuta la gran parte dell’infanzia e tutta la giovinezza in Argentina, terra da cui ha sorbito i colori e i contrasti, e la cui lingua morbida e rotonda ha fatta sua, tanto che nella creazione poetica è privilegiata, e soltanto in seguito tradotta in modo libero e non banalmente letterale, in italiano.
A distanza quasi esatta di un anno, nel novembre 2011 abbiamo presentato il suo “L’emozione nella parola” la cui stesura in lingua spagnola era precedente a “Non te ne sei mai andato”, stesura in seguito arricchita con la traduzione in italiano delle poesie e con una Nota di cui volentieri rileggo i primi tre versi particolarmente belli e intensi :

“ Perché la Patria non è una né geografica/ Perché la Patria è il cuore/ Perché la Patria è l’espressione delle parole del cuore” ( p.15)

Ora l’autrice ci propone il suo ultimo lavoro bilingue Moiras per le Edizioni Scienze e Lettere di Roma, bilingue nelle poesie privilegiando sempre lo spagnolo, ma la cui densa, emozionata Premessa si legge nella sola stesura in italiano.
Un omaggio a Roma, la protagonista della silloge?
Roma, infatti, ultima patria di Francesca, è il tema della raccolta nella quale il destino che il titolo suggerisce è quello della città ma anche quello dell’autrice : destini che si fondono e confondono in un intreccio emotivo dagli esiti simbolici e poetici quanto mai suggestivi .

Leggendo le composizioni della silloge mi sono venuti alla mente i versi di Octavio Paz ( Messico 1914-1998 Nobel 1991 ) che nel suo “Libertà sulla parola” (Guanda 1965 Collana Fenice diretta da Giacinto Spagnoletti : da notare la vicinanza del titolo del libro di Paz con il titolo 2011 della nostra poeta ) ci parla del “Destino del poeta” con queste parole :

“Parole?/Sì d’aria/ perdute nell’aria./ Lascia che mi perda tra le parole,/ Lascia che sia l’aria sulle labbra,/ un soffio vagabondo senza contorni,/ breve aroma che l’aria disperde.// Anche la luce si perde in se stessa”.

Il destino del poeta per Paz, ma anche per Francesca è quello di perdersi tra le parole per ritrovare e ricomporre il filo della vita oscurato e schiacciato da un dolore originario, per tentare disperatamente un rammendo allo strappo della storia.

Per Paz la poesia diventa atto di liberazione dentro una memoria continuamente portata alla luce ( vedi L’arco e la lira ) . Francesca condivide fin dalle sue prime raccolte tale convinzione e anche nella recente “Moiras” : qui Roma appare con i contrasti, le luci, le solitudini, il buio, il sogno e le speranze della Lo Bue. Qui la memoria riscatta il tempo perché : Roma è degli antenati : sono loro che trasformano il tempo in Bellezza e Religione ( p.8 Premessa).
Il riscatto della Città, tuttavia, come quello dell’autrice, passa attraverso dolorose contraddizioni, che la scelta dell’immagine di copertina del libro iconicamente riassume.
Si tratta di un allattamento, non quello classico della lupa capitolina nei confronti dei gemelli, ma quello rappresentato dal pittore Niccolò Tornioli nel dipinto Carità romana… dove la donna allatta un vecchio mentre il bimbo alla sua sinistra implora e piange… : Roma ( o Francesca?) che predilige il passato e trascura l’oggi?
Roma (o Francesca?) in continuo stato d’indecisione tra passato e presente?
E tra il vecchio e il nuovo chi perde? Perché la donna porge il seno al vecchio ma guarda l’infante.
Domande che adombrano altre domande dei testi che abitano il libro dentro colori spesso cupi di dolore, di considerazioni oscure (p.23), di vento febbricitante (p.25).
E se talvolta Roma appare nella grazia splendida d’un giorno pieno di luce, resta pur sempre “Romasola” (p.33).
C’è un sole senza tramonto (p.105) che incombe su un Tempo sempre livido (119) e un sogno dimenticato s’accende come stella nella foschia della sera (127).

Le domande della poesia, frequenti com’è nello stile della poeta rincorrono passato e presente e si fondono con il singhiozzo millenario della città, cercando risposte al dolore, a quello che Francesca chiama il sorriso del nulla (125) deluso anche dal Dio cristiano del cui nome l’Urbe porta vanto, ma che appare lontano e assente .
Dorme Dio nel suo specchio secco/ nel lusso della sua pace? (85) grida la poesia al cielo che appare sempre più alto ( e il cielo è alto…alto – p. 127 ).


I crolli, le ferite delle pietre romane soffrono lo stesso male delle ferite della donna autrice che tuttavia non vuole arrendersi alla fatalità d’un destino avverso.
C’è uno squarcio di luce nel Vespero e sopra il muro lungo, spesso appare lo Straniero, l’Angelo (133) dentro il cui volo fermo ma denso di simboli si definiscono e si proteggono nome riscatto e salvezza non solo della Città Eterna, ma anche di chi, come Francesca, vi ha legato il proprio destino.
Un destino che allaccia e congiunge Francesca a Roma, ma soprattutto alla poesia, frutto perenne che rosseggia nella siepe oscura, frutto il cui succo d’emozione e visione possiamo anche noi assaporare leggendo i versi effusivi e densi di richiami culturali ed esistenziali di Francesca Lo Bue.

P.S. “Moiras” porta in Appendice la traduzione in italiano d’una poesia di Francisco del Quevedo Y Villegas dedicata a Roma, e quella in lingua spagnola di due composizioni romanesche Carcinacci e Il fiume de Roma, con chiuse poetiche della stessa Lo Bue.

Firenze, Casa di Dante, 8 maggio 2014 Mariagrazia Carraroli

NOTA CRITICA = BONESSIO DI TERZET

Nota critica su: "l’Utilità dell’Arte poesia", Aracne Ed. 2013

di Ninnj Di Stefano Busà------

La grande compagna testuale della scrittura lirica del poeta Bonessio di Terzet è la sua visionarietà, che è appunto l’essenza, la categoria portante del suo linguismo e si manifesta chiaramente come forma implicita, fuori dalle righe, mostrandosi punto focale e attraversamento della grande spirale e fatica terrena.
Ettore Bonessio di Terzet ama le ampie volute, le circumnavigazioni della mente, predilige le avventure sempre più temerarie del processo di transitorietà umano che si avvale di voli pindarici per proiettarsi sul destino della specie.
Nel segno della utilità dell’arte egli ci dà delle coordinate degne della massima attenzione da parte della critica che conta, ci segnala l’attraversamento e il percorrimento di un tragitto che pur restando nell’ambito dei confini di una visuale leggendaria, tuttavia sonda, scava nei processi mentali tutte le occasioni di un viaggio off-limit fuori dalla continuità logica dei sensi che lo vede catapultarsi di frequente nelle anse di un enunciato lirico, senza darlo troppo a vedere.
La sua è la storia di un verbo maiuscolo che sa decifrare le armonie universali ed entrare in sintonia con quella forza “ermeneutica” che conquista l’uomo moderno e lo rende responsabile della sua vicenda storica.
Una poetica che si potrebbe definire molto cerebrale, con punte di massima intellettualità, che si pronuncia in modo ampio ed eclettico e con l’autorevolezza con la quale si rende degna di essere ascoltata, fino all’ultima parola, all’ultimo sintagma, come si fa con un silenzio rarefatto, quando l’enunciato spirituale e intellettivo è straordinario.

domenica 11 maggio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIORGIO CASALI

GIORGIO CASALI : “Sotto fasi lunari” – Ed. incontri – 2013 - pagg. 128 - € 12,00 –
“La luna confessata da Giorgio è quasi sempre piena, - scrive Anna Ruotolo nella prefazione - in un’atmosfera ancora provinciale perciò più piena di accensioni, feste di paese e simboli antichissimi da decrittare e che ognuno sente nella testa per le strade”.
Una poesia ricca di luminosità per quei riflessi inclinati tra i colori del tramonto e le sinuosità dell’alba, tra il biancore lunare e lo splendore del mattino. Le incertezze del poeta prendono forma ed intuizione per un ritmo musicale che insiste con delicatezza e che privilegia simboli e segni, quasi sempre lontani dalle ombre e dagli imprevisti.
Anche se cerca di indagare in qualcosa di quotidiano, che illuda emotivamente, egli si riappropria dell’immediato, tra i gioielli costruiti dallo stupore e, nella complicità del graffio , della sofferenza , del mistero , del racconto , riesce a partecipare schematicamente alle sottili e percepibili vibrazioni delle espressioni o di quel percorso che si fa con la memoria nel tentativo di attingere specularmente anche l’oblio. Anche nelle velature la scrittura è essenziale , senza sbavature , decisamente puntuale nella struttura.
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 10 maggio 2014

DOMENICO CARA PER SPAGNUOLO

"Antonio Spagnuolo": tracce didascaliche “Come un solfeggio” in prova di requiem --

1.Dal colto silenzio e dall’intensa solitudine, del tutto spontaneamente, Antonio Spagnuolo riproduce in questa recentissima silloge e grazie all’immaginazione, un’amara e godibile ricerca del suo inconscio poetico.

2.Questo effetto emozionale il poeta lo inalvea Come un solfeggio (Kairós, 2014) che è anche titolo della stessa prova, senza occulte sensazioni, anzi duttile e assiduo requiem e magmatica scena di un io quietamente disperato e devoto gesto della privata memoria.

3.In essa il ritmo cresce segreto e onnivalente, mai greve, e direi piumato di intima passione: a volte per guizzi fosforescenti e non sottintesi, quasi composti da brechtiane “devozioni domestiche”.

4.La sincerità testuale è tanta e spesso speculare (d’altra parte come la sua abituale poesia disegnata informale, senza pittura ad ombre o fiaba di neve).

5.Il suo abbraccio al documento conflittuale è totalizzante, si amplifica nell’esatta evidenza del personaggio familiare: “In memoria di Elena” l’amata moglie, estinta, persa e dispersa in un trascendentale infinito, dove vive il tempo atroce del medesimo verbum.

6.L’entità scritta inoltre racconta l’angoscia e gli altri abbagli d’amore, il cuore palpita forte nella implacabile umana commedia. E poi l’esperienza totale diventa abisso di attimi insidiosi e desolati a più mobilità creative e lucenti vertigini.

7.Il tempo così, tra intimi sussulti ed esistenziali gorghi, si riduce esemplarmente ad una serie di assenze, di essenze fragili, di irriducibili distanze e di un’ inerme oggettività, mentre il canto all’ulteriore addio resta in un clima striato, oltre se stesso, con ogni possibile attesa visiva.

8.Lo stretto svolgimento ritorna pertanto in più frangenti come retorica della sorte (non linguisticamente convenzionale), e le riesplorazioni hanno parole buone sia pur dedotte dal disincanto, alto rigore del quale la vita umana percorre privilegi e inesorabili lontananze.

9.”Quale musica nasce dal passato? / Il tenero segreto dei tuoi sogni. / Rammenti le vibrazioni del violino / nell’Ave Maria per noi due soltanto, / tremanti alle corde nell’accento / e al singhiozzo trattenuto appena? … / Se mi fossi concesso un’altra vita, / da vivere, brucerei ogni fiore / e per te profonderei la musica .” (da: Sapori, p. 38).

10.” Vedo l’alba che torna a svestire la tua figura / vedo il tuo corpo logorato al vento / ad acchiappare nubi: forme mutevoli / adatte per l’addio. / Si sdoppiano i pallori, e il gusto di carezze / riprova il destino, che continua a spezzare / ogni illusione per un tuo ritorno.” ( Ritorno, p.42).

11.Letti a più scorci i versi vestono nuova luce. E “nella lingua di Dio” il profilo amaro della propria ricerca che diviene viaggio angelico deluso, perché in esso si svolge quel senso ansioso di riconsiderare ogni espressione frammento d’intrecci della vita.

12.” Questa è l’ora che rintraccia vampate / nella vacuità dei ricordi”. Senza dubbio ad essa si concedono inedite strategie mentali, e quegli inseguimenti interrogativi di elegia che promuovono un monologo pragmatico, una libertà di rinascere per sottoscrivere quel bilancio di gioie e forse di rimorsi (sempre con nostalgia).

13.Cosa c’è di servile in un fondamentale esempio come l’amore, se non l’insufficienza e il timore della scarsa durata? E di altri specchi, a cui ogni densa poesia si addice?
Domenico Cara

venerdì 9 maggio 2014

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

ALESSIA E IL PAPAVERO
*
Campo di spighe di
Alessia, pensiero
d’amore e profano,
letto di natura dove
farlo nella chiarità
meridiana con Giovanni.

Ed è venuta una teoria
di amiche a casa di Alessia-
ragazza a portare doni,
argento e platino di
bracciali e anelli.

Ha spezzato il pane
Alessia e hanno bevuto
il vino. Un papavero
nel suo rosso a continuare
e ci sarà raccolto,
tra giorni vegetali
all’apertura delle cose,
lo schiudersi di un
fiore tra di Alessia
le mani.
**



ALESSIA E LA MELA VERDE

Campo di grano profane
per ragazza Alessia, spazio
scenico dove fare l’amore
nella recita della vita.
Attimi ad incielarsi di
un azzurro perla
nell’accadere della quinta
stagione, l’ora blu dell’alba
in esatta armonia terrena
con la pelle di ragazza
Alessia al colmo della
grazia nello scorgere
la mela verde altissima
sul ramo. Mano affilata
ad addentarla, storia
di estasi infinita di Alessia,
addenta la mela in magico
stupore del gusto e così
esiste.
**

"Alessia e il silenzio di platino"

Selenico naufragio di gioia di
ragazza Alessia, colomba candida
di aurora con un filo d’olivo
nel suo verde nel becco per la felicità
(ha sognato un angelo che le ha
detto che Giovanni non la lascia).
Sui monti azzurrini delle resurrezioni
ad ogni passo guarisce
ragazza Alessia nuda come acqua
per i campi della vita,
pari a una donna per resurrezioni
che sanno della linea della fragola
nel di platino il silenzio.
**

"Alessia e la linea azzurra"

Cielo a sospendersi pari ad
aquilone azzurro sulle cose
di sempre, gioia fisica
di Alessia a interanimarsi
con la resistenza fresca
dell’aria e ancora esiste
ragazza Alessia sul bordo
del Mediterraneo, il luogo
è Napoli, via Petrarca a
contemplare dall’attico
le nuvole a sfioccarsi
in forma di pesci e di
cavalli. Nel parlare a
telefono con Giovanni
nel vedere in duale
accadimento le stesse nubi
Alessia al colmo della
grazia (tanto non mi lascia)
scritto sul diario con
incerta grafia terrena.
**
Raffaele Piazza

mercoledì 7 maggio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO AVENOSO

Antonio Avenoso – “Prima del paesaggio” -Fermenti Editrice – Roma – 2014 – pagg. 49 - € 8,50

Antonio Avenoso è nato a Melfi nel 1954; ha pubblicato numerose raccolte di poesia, ottenendo molti riconoscimenti e diversi critici letterari si sono interessati alla sua poetica.
“Prima del paesaggio” è una plaquette, costituita da componimenti in massima parte brevi, tutti senza titolo,
Per la cifra unitaria che li contraddistingue, potrebbero formare un poemetto.
Il poiein del nostro è connotato da una forte chiarezza e da nitore.
Presenta una certa vena narrativa, affabulante, che si evince dalla lettura dei versi, che presentano un minimo scarto dalla lingua standard.
Si riscontra in molte poesie una valenza epigrammatica, assertoria e spesso il poeta si rivolge ad un tu del quale ogni riferimento resta taciuto.
Una delle tematiche essenziali è costituita dall’ambientazione della raccolta in Israele e, non a caso, ricorre il tema della guerra, che viene fatta anche da ragazzini.
Alcune poesie sono tout-court una riflessione sul senso della vita e del tempo che scorre.
Prevale una vena vagamente neolirica e c’è una forte leggerezza nel dettato, caratterizzato da un’aggettivazione frequente.
Avenoso spesso “mette in scena” un naturalismo rarefatto, che assume toni anche idilliaci.
I versi sono scattanti, precisi e leggeri e ottima è la tenuta di quelli lunghi.
Un senso evocativo e di sospensione permea i testi e nel dolore della stessa guerra “la fantasia s’inzacchera”.
Si avverte un notevole stridore, un forte contrasto, tra i toni lirici, con i quali sono dette le bellezze naturalistiche e il tema bellico.
A volte prevalgono un afflato solipsistico e una parola che si rispecchia su se stessa nel bel verso: “dalle parole non voglio guarire”.
Nel contesto attuale della poesia italiana, nel quale attualmente predominano gli sperimentalismi e gli orfismi, è veramente inconsueto riscontrare un versificare come quello del nostro, così tendente ad una linearità dell’incanto.
Viene espressa una forma di misticismo immanente attraverso la nominazione di Gerusalemme, Betlemme e il Monastero di Mar Saba, nonché dello stesso Dio, calato nel quotidiano per ascoltare preghiere.
Tutti i testi sono ben risolti a livello formale con molta eleganza nel realizzarsi delle parole sulla pagina.
Ogni tassello di questo mosaico pare librarsi nella sua semplicità, che non è elementarità.
A volte si raggiungono immagini oniriche e magiche che lievitano senza sforzo::-“Ormai stanchi/ aprimmo alla preghiera/ i cuori agresti./ Nella notte/ ormeggiammo alla riva/ un altro piccolo sogno/.”
Molto originale e affascinante il titolo della raccolta “Prima del paesaggio”, che esprime due categorie diverse: quella della temporalità e quella di un sembiante, che resta indefinito.
Sembra che con il suddetto titolo il poeta vuole farci intendere un suo scavo in profondità, una ricerca che viene prima dell’oggettività delle sensazioni, della realtà.
Nel testo tutto pare riferirsi a qualcosa di idealizzato, a un senso arcano di nominare le cose tramite l’urgenza del dire.
Ad una prima lettura si è pervasi da una forte nitore del discorso, ma poi ci si cala in atmosfere rarefatte tra il detto e il non detto nella sua bellezza.
Un modo suadente profondo di un versificare maturo che diviene esercizio di conoscenza nella sua armonia.
La misura stessa della plaquette bene si adatta alla materia trattata, con una dizione elegante e controllata.
Momento fondante pare essere la grazia delle immagini evocate, anche quando il loro contenuto è tragico.
*
Raffaele Piazza
***
“Del presente e del domani
del bene e del male
appare la luna nascente, il saturnale
dell’amore mentre tu tremavi nelle mani.”


domenica 4 maggio 2014

PREMIO POESIA = TRACCE PER LA META

A Recanati la premiazione di "TracccePerLaMeta" e un reading di poeti locali
Sabato 10 maggio ore 16:30 a Recanati (MC)
*
Nel pomeriggio di sabato 10 maggio nella prestigiosa Sala Foschi del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati (MC) si terrà un importante evento culturale organizzato e promosso dalla Associazione Culturale TraccePerLaMeta e dalla rivista di letteratura “Euterpe”.
La serata si aprirà con i saluti introduttivi della Presidente della Ass. Culturale TraccePerLaMeta (Anna Maria Folchini Stabile) e a seguire quelli del Sindaco di Recanati (Francesco Fiordomo) e del Presidente del Centro Nazionale Studi Leopardiani (Fabio Corvatta).
L’evento centrale del pomeriggio sarà la premiazione del 2° Concorso Letterario Nazionale “TraccePerLaMeta” che in questa seconda edizione si apriva con i versi di un estratto di una lirica di Leopardi alla quale era possibile ispirarsi.
Da ogni parte d’Italia arriveranno i vari vincitori e menzionati a vario titolo (per le due sezioni di partecipazione: poesia e racconto) e altri partecipanti i cui testi saranno pubblicati in un’opera antologica che verrà diffusa nella stessa serata.
*
Il pomeriggio letterario, appoggiato moralmente dalla Regione Marche, dalle Province di Ancona, Macerata, Pesaro-Urbino, Fermo, Ascoli e dai Comuni di Macerata e Recanati proseguirà con un reading con alcune voci di poeti locali che leggeranno proprie poesie.
*
Ad arricchire ulteriormente la serata sarà un intervento dal titolo “La modernità nella poetica di Leopardi” della poetessa e scrittrice Annamaria Pecoraro e le musiche di Luca Mengoni (violino) e Federico Perpich (violoncello) della Civica Scuola “Beniamino Gigli” di Recanati.
*
Info: info@tracceperlameta.org – www.tracceperlameta.org