venerdì 20 settembre 2013

INTERVENTO = ETTORE BONESSIO DI TERZET

L’ARTEPOESIA E’ DESIDERANTE

Sappiamo, anche se qualcuno ha fatto e fa finta di non saperlo, che l’essere artistapoeta è un dono, diciamo pure genetico. Non tutti sono artistipoeti, tanti fanno il poeta. Qui sta la differenza fondamentale tra gli artistipoeti e i nipotini loro, come in ogni altra manifestazione d’artepoesia.
Artistapoeta è colui che meraviglia con i segniparola, perché si è meravigliato lui, prima del lettore, di trovarsi sulla punta delle dita, prima ancora nel suo interno, mente e cuore, delle parole sulle quali ha la capacità di posizione e collegamento in un modo del tutto nuovo che noi diciamo artisticopoetico. Unisce con le parole se stesso agli altri esseri, conosciuti o no, unisce le varie culture siccome centrali sono nella sua scrittura i problemi fondamentali d’ogni essere che vive e muore, che sente i fruscii della vita.
Quando si studia a tavolino come iniziare una guerra contro un nemico, si pensano strategie e tattiche a tavolino per poi riversarle sul “campo di battaglia”. La differenza tra il pensare una guerra, anche finanziaria, e il pensare di scrivere poesia, sta inizialmente nel verbo che dobbiamo cambiare: non si pensa di fare una poesia, ma si sente di dover fare artepoesia. Non si sente a tavolino, con un piano razionale prestabilito, non si progettano strategie e tattiche, ma ci si pone di fronte al supporto scritturale e si attende che il momento avvenga. Se avviene la mano trasporta quello che è accaduto nella mente e nel cuore sul supporto ancora vergine, lo imbratta e lo corrompe con parole ed intrecci di parole. Corrompe il supporto cartaceo, o altro, in quanto materialità, in quanto compattezza che ostacola lo scrivere e si oppone alla trasmissione immateriale che va facendosi.
La materialità della carta contro l’immaterialità della parola.
Ecco perché cancellature, ritorni, ghirigori accanto, straccio del foglio e ripresa della scrittura. Si deve trovare un punto di connessione tra carta e scrittura, tra immaterialità e materialità; ecco perché consumiamo molta carta che è materia, ma nel momento della scrittura si trasforma in quella materialità che disturba il passaggio delle idee mentali in idee scritturali.
Artistapoeta non ha nessun nemico, meglio l’unico nemico che può ostacolare l’avvento dell’artepoesia è lui che può stravolgere mutare capovolgere addirittura quelle parole che a lui si presentano. Si elimina questo nemico, il più terribile e strenuo, con l’accettazione di essere, in prima battuta, solo un “traslatore”, un ponte per i segniparola, con l’accantonare il proprio ego, con il non intervenire nel flusso istantaneo che s’affolla alla mente, con il fermarlo velocemente in scrittura.
Ma l’io che ha sconfitto l’ego (contenente ogni stortura abitudine ritualità e che tende a conservare il passato sfuggendo al presente che s’infuturerà) non è solo ente ricettivo e passivo, ma diviene attivo ed elaborante una volta che “il flusso mentale” è stato fermato e il foglio non è più bianco. Allora lo lascia decantare come buon vino, lo discosta da se stesso per poi, quando sente che è dovuto, ritornarvi accanto e, con la mente il cuore e il sentimento della Bellezza, vedere come migliorarlo e come renderlo al massimo consentito a lui, io-uomo, nella coscienza che la “perfezioneartisticopoetica” è migliorabile, non compibile.
L’artepoesia è un dono che avviene nella nostra mente intimamente unita al cuore.
Il movimento razionale (che comporta conoscenza sapienza cultura e tecnica) viene secondo, viene nella fase del riordino del primo movimento, riordino che può migliorarlo come distruggerlo, quando l’ego, non spento o morto del tutto, insorge contro l’io e tenta di imporre la sua accumulata consolidata esperienza, confermata dalla maggioranza degli esseri che non vogliono cambiare, che stanno bene così, che pensano che ogni cosa e persona sia statica e non volventesi nello spaziotempo.
Se l’ego riesce vincitore, non ci sarà artepoesia, ma solo della scrittura che il gusto del tempo accetta ed onora come poesia, in effetti solo retorica.
Se l’io riesce a resistere, ecco lo splendore dell’artepoesia a riprova della quale è lo stupore e la meraviglia del poeta che vede legge sente la scrittura come altro da
sé, come se non fosse sua.
E non è sua, invero.
Artepoesia, se autentica, è di tutti e tutti possono leggerla secondo loro stessi, possono trovare altri significati, detestarne alcuni, prediligerne altri, ma saranno buoni lettori se coglieranno, o si avvicineranno, al significato centrale dell’artepoesia che l’artistapoeta ha donato all’umanità e all’universocosmo.
Tutti i lettori che si fermano alle proprie interpretazioni, perdono molto dell’artepoesia insita nella scrittura, non colgono la direzione che quei segniparola stanno indicando: si fermeranno ad una superficie molto inconsistente e deperibile. Non vedranno le meraviglie nascoste con e dentro i segniparola che l’artistapoeta, dopo il primo frastornamento, ha anche lui capito e ha voluto donare perché altri capiscano. Tutti utopicamente. Se lo desiderano.
L’artepoesia è capire il desiderio che è dentro l’uomo.
Qual è questo desiderio, che cosa desidera primariamente, tra i tanti oggetti del suo desiderare?
Tralasciando i desideri momentanei e transeunti della vita dell’essere e della società in cui vive, non interessandoci dei desideri per la sopravvivenza pure importanti, vediamo che i desideri costanti e forti presenti nell’essere, sono il desiderio di immortalità e il desiderio di eroicità.
Partiamo da quest’ultimo.
Che cosa significa essere eroe se non un essere diverso superiore più bello e più forte dell’altro, una mitologia di desiderio che parte dall’Inizio (storia e preistoria) e che si presenta alla cultura dell’essere europeo come Achille e Ettore, per esempio. In altre culture e civiltà ovviamente cambiano gli eroi, i proto-tipi.
Non potendo essere né Achille o Ettore, l’obiettivo viene abbassato e si scende sino alla banale eroicità della quotidianità, che tale non è ed avvilisce l’essere.
Immortalità: ogni essere desidera non morire, desidera essere per sempre, essere eterno. Quindi o si va contro l’Eterno per invidia e si perde, dato che moriamo, o al limite si patteggia e allora si vivacchia tremolanti; molto meglio se ci si concilia con l’Eterno e si tenta di capire quale sia la relazione riuscita tra essere ed Eterno.
La Bellezza è il simbolo più duraturo dell’Eterno.
L’essere la cerca in ogni azione.
La Bellezza è il desiderio costante del’uomo.
L’essere trova maggiormente sentore di Bellezza in quelle opere che non sono legate alla storia alla moda al gusto personale, nelle opere che trascorrono la storia il gusto e la moda del tempo, che resistono ad ogni nuova prospettiva sociologica psicologica, in quanto posseggono quella capacità di meraviglia e stupore che abbiamo prima visto, e che ci riportano alla fanciullezza dove le nuvole erano cavalli o angeli, la foresta nugolo di cavalieri, il mare una flotta di navi: l’essere sente la Bellezza quando pensiamo che tutto sia bello corretto buono, addirittura giusto e desideriamo che continui sempre. Utopicamente.
Il desiderio dell’utopia è soddisfatto dall’artepoesia.
Analogia utopia artepoesia eternità, questi i nodi presenti nel flusso istantaneo che quando deve si presenta come dono alla mente dell’essere. Analogia e utopia sono legate strettamente a tal punto che le possiamo trovare in una sola parola: simbolo. L’analogia è l’impossibilità di dire direttamente l’esistenza e l’essenza dell’Eterno e quindi è un trick retorico inventato dall’essere per poterne dire, mentre l’utopia è un orizzonte mitico che ci si da per poter reggere le insoddisfazioni della vita terrena.
Il simbolo le riassume entrambe e permette il rivestimento artisticopoetico dei segniparola che superano l’utopia riversandola in una visione di continuità spaziotemporale, quindi vicina al discorso dell’eternità, dell’Eterno.
Allora l’utopia, attraverso il discorso simbolico-analogico, ci fa reggere le fatiche del vivere, ci permette la vita. Non solo: fatto in modo di accettare le acutezze vitali, l’utopia ci permette di oltrepassare il contingente e di consistere con il problema della morte e dell’immortalità, ci permette di avere una visione (che è poi il sorgere dell’artepoesia) più larga più vasta più profonda e, soprattutto, di porre in atto il tentativo di risoluzione dell’opposizione vita/artepoesia/morte.
La morte e la vita sono in equilibrio sempre instabile e sono aiutate a sostenerne la durezza dall’artepoesia.
Dall’utopia all’artepoesia, il percorso dato all’essere per esaltare la vita conferendole senso e significato, per accettare la morte nell’artepoesia che traslata l’essere nei cieli infiniti indefiniti ignoti ma sentiti, dove i confini non sono più, dove ogni articolazione geometrico-matematica è presente nel minuscolo mansueto semplice potentissimo punto. .
20 Settembre 2013 ***
Ettore Bonessio di Terzet

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