sabato 31 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = DAVIDE RONDONI

DAVIDE RONDONI : “Si tira avanti solo con lo schianto” – Ed. Whitefly Press – 2013 – pagg. 80 -- € 12,00 -
(emblematico libro che mostra la poesia come visione lirica di un progetto esistenziale inevitabile e necessario.)
*
La demolizione di ogni sogno, di ogni ideale sembrerebbe racchiudere questo titolo, in realtà si rivela in Davide Rondoni, un panorama ineludibile del far poesia: senza lo schianto non vi possono essere crescita, rinascita, superamento, non vi può essere il palese dissidio, la distonìa che muove e sommuove le anime in un mutuabile e vicendevole percorso di vita.
Lo schianto che come precisa lo stesso Rondoni è mutuato da un verso del testo poetico “Giorno dopo giorno” di Ungaretti è la molla necessaria, forse dilagante e intristita di un giorno qualunque che si propone come faglia, come referente di mistero, di approdo “altro”, di altre destinazioni ed esperienze.
Ma non basta per dare una svolta successiva ad un’arte che in Rondoni è esperimento di un’alterità, che ci prescinde e ci restituisce la nostra vera essenza, la sorte alla quale siamo chiamati, in prossimità, di esperienze e di conoscenze, di eventi personali a noi strettamente legati.
Tutti gli interrogativi, le incognite, le inadeguatezze portano ad un solo destino: il superamento del punto di fuga, relativo alla stessa coscienza che in modo difforme ci porta ad assumere atteggiamenti diversificati nel pensiero, riconoscendo la poesia come interprete di un quid che si nutre di stupore, di curiosità per un sentire che è sempre balzo in avanti, incantamento e curiosità verso noi stessi e l’altrui.
La molla che ha fatto sua l’esperienza di scrittura di questo libro, è a mio parere, il riconoscere la capacità del dolore, l’impatto con esso e condividerlo con l’esperienza stessa del dolore degli altri. Sono incontri con l’altrui “schianto”, all’interno di una strategia comportamentale che ama confrontarsi e dialogare col suo prossimo, evangelicamente edotta dalla sua esperienza personale di uomo e di cristiano.
Rondoni scrive con un linguaggio asciutto, efficace e moderno che sa individuare e, quindi, tradurre il disagio e il dosaggio dei giovanilismi ai quali la sua poetica è diretta. Davide Rondoni è il poeta delle nuove generazioni, cui lo “schianto” ha permesso di vivisezionare il normale intercalare della coscienza e derimerla dalla conoscenza, dalla esperienza.
La sua scrittura è dotata di assonanze necessarie in una visione d’insieme che è religiosamente laica, ma anche con qualche impennata teologico culturale di neofita cristiano.
Gli incontri coi personaggi, le visitazioni di luoghi, in apparenza casuali, si mostrano invece forte sollecitazione per l’anima del poeta che ne viene assorbito, fagocitato e ustionato dalla scoperta di umanità, inevitabile al suo linguaggio che non è circoscritto solo all’ambiente familiare, domestico ma risulta inusuale, caratterizzato da forte simbologie e metafore surreali, quanto di lucido e ruvido realismo: in entrambi i casi, fortemente improntati alla vita di tutti i giorni, alle cadute, alle dinamiche, alle ustioni, agli “schianti” propri e dell’altrui solitudine: “ Si tira avanti solo con lo schianto/ il resto va in panne, si esaurisce/ nella schiena ho il fuoco/ di ali bruciate, se mi dici/ rallenta/ precipito in ogni dolore nel raggio di una vita/.../ la vita è solo se scommette d’essere infinita/ l’impatto è una carezza/ nella nostra condizione/ sbandati da ogni morale/ ed è diritta sparata in Dio o/ in una sacrosanta maledizione.”
In definitiva, la poesia per Davide Rondoni fa da supporto ad un più umano sentire, che è “scienza nutrita di stupore” detta alla maniera bigongiariana, e rinnova, riaccende la coscienza della parola con episodi e visioni di sangue e carne,come previsto dal protocollo che abbraccia l’intera essenza dell’umanità.
NINNJ DI STEFANO BUSA'

mercoledì 28 agosto 2013

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

LIMBO DI AGOSTO DI ALESSIA
*
Prologo

Ragazza Alessia dalle mani
affiliate nel folto della casa
prima che il telefono squilli,
ansia a stellarla
(mi ama o non mi ama?).

1
Alessia dopo la doccia
torna nella camera attende,
orologio alla parete
e le lancette girano
nella grazia di un tempo
altro
(e pensare che è un
dono di Giovanni).

2
Sente il sangue nelle
vene, epifania di pioggia
da un visore di
vetro finestra, altri
10 minuti
(doveva chiamare alle 16
e sono le 18 della vita).

3
Caldo: si toglie il jeans
Alessia, vorrebbe chiamarlo
sentire della sua voce
la forza in limine
con il letto dove hanno
fatto l’amore.
(se chiamo io sono scema,
pensa Alessia).

4
Ore 19. Non squilla nulla
nell’aria di vetro,
lacrime a rigare di Alessia
il volto
(limbo di agosto
dimentico tutto).

5
Di Giovanni al citofono
parole dette a sorpresa:,
h.20: trasale Alessia,
fiorisce ride da sola.

(sale e lo fanno)
*
RAFFAELE PIAZZA

martedì 27 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO : "Il senso della possibilità" , Nota introduttiva di Carlo di Lieto, Kairós Edizioni, maggio 2013, pagg.104 --14 euro.
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il pathos dell’uomo Antonio Spagnuolo


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
(Pavese)

after death.
The undiscover’d country, from where bourn,
No traveller returns
(Shakespeare, Hamlet, Act 3, Scene 1)

Der Tod ist kein Ereignis des Lebens. Der Tod erlebt man nicht.
(Wittgenstein, Tractatus Logisch-Philosophische Abhandlung, 6.4311)

Wovon man nicht sprechen kann, darüber muß man schwelgen
.(Wittgenstein, Tractatus Logisch-Philosophische Abhandlung, 7)

e Spagnuolo, In memoria di Elena, in Il senso della possibilità:
il giglio del tuo cuore cede alle notti
ed il mio canto piange un corpo eroso.
(III)
Adesso devo morire anch’io
per sparire nel nulla,
o per scoprire
dove si cela la tua sembianza.
(VII)
Muteranno i colori: il giorno mi riporta
quelle parole tue già nel destino.
Ripetutamente offuscate nel sudario del canto.
(XII)

(un paragrafo, invano a mente fredda, ma che sía, al fine, l’unità sintagmatica che da qualche tempo
mi ossessiona scartabellando l’antico libro chiamato di volta in volta vocabolario œ dizionario da questa parola a quella parola. saggezza ci dice del prepararsi alla morte: saggezza che già ha trovato voce piena e esortatrice in un mastro d’arte; per l’altra faccia della vita.)

della morte non si può dire, ma la si può pensare, e la vive quando a morire è una persona congiunta, intima. medico - uno déi tanti medici e nel contempo validi scrittori (per esempio, penso a Gottfried Benn -, fra i grandi poeti e scrittori della prima metà del Novecento), il poeta Antonio Spagnuolo accade nel morire di Elena - In memoria di Elena, tredici poesie in Il senso della possibilità -.
Antonio Spagnuolo: egli stesso, a ultimo capoverso della sua autobiografia in Autodizionario degli scrittori italiani di Felice Piemontese, Leonardo 1990, pagina 335, cosí si autopresenta quale scrittore poeta: «L’incontro fra psicologia↓ e linguaggio è stato sempre come il substrato di ogni sua esperienza poetica, dentro una lingua reinventata all’uopo per la lapidarietà del verso folgorante, che procede per squarci immediati e subito avanza alla scoperta di nuovi orizzonti.».
ora, la sua psicologia↑ è terribilmente ferita, dolorosa, mortificata, è páqoj, la dipartita di Elena, la compagna del desolato Antonio, l’attesta il poemetto In memoria di Elena I-XIII posto a explicit del volume.
la scrittura di Spagnuolo è incandescente - il Pablo Neruda dalla Terra del Fuoco -, ma laddove nel volume si è in presenza della morte di Elena il linguaggio, pur rimanendo acceso, per cosí dire si snoda ‘a fuoco lento’, snodo doloroso da esperienza luttuosa; ‘a fuoco lento’, d’accordo, ma la materia linguistica non si priva dell’infiammarsi, pur nell’addolorarsi.
il lettore ha da immedesimarsi, gli è richiesto il grande sforzo, per cosí dire, ‘ermeneutico’ (… !), dovuto all’irrimediabile, una vita umana, e cara a chi le è stata al fianco, stroncata.
¿‘parlare’ della Morte? ‘parlare’ alla Morte. nelle tredici sezioni del poemetto, Spagnuolo ‘parla’ dell’esperienza che vive - l’esperienza - della morte di Elena in lui, l’uomo Antonio Spagnuolo. il tema, il protagonista è dunque umanamente e dolorosamente vivere dentro di sé la morte della persona amata. la tematizzazione impone un compenetrarsi di reciprocità fra il tema dell’umanamente e dolorosamente vivere dentro di sé la morte della persona amata e il segno-sintagma dell’umanamente e dolorosamente vivere dentro di sé la morte della persona amata.

*

non nascondo l’imbarazzante situazione che mi sono ‘creata’ dopo aver chiesto ad Antonio di poter scrivere - di … scrivere! (sic!) - intorno all’ultima parte della silloge - Il senso della possibilità -, gentilmente accondiscendente Antonio. ‘parlare’ della Morte, e per giunta, della persona cara al mio amico poeta!
rileggo le poche righe di cui sopra, ripensando agli eserghi che ho posto e che mi paiono oltremodo confacenti con la ‘realtà’ e con lo ‘spirito’ del dramma pervadente la poesia. ¿ma potrei mai arenarmi in una sorta di asettica operazione da critica letteraria di fronte all’estremo di esperienza viva di chi vive il pathos ovvero l’intensione pàtica com’è il morire dell’altro che ci è stato congiunto nella vita di tutti i giorni, da ciascun giorno a ciascun giorno? a questo punto, vale l’uso del verbo all’infinito e non il sostantivo, entrambi nomi, ma ¡quale e quanta differenza di valenza attraverso le selezione e elezione del lessico! -.
ho provato a trascegliere qualche verso dal testuale a mo’ non tanto di costume stucchevolmente citatorio quanto a misura di exempla, di espressività della significazione del segno, del senso come complessione; ma ho desistito nell’abbondare, perché troppi e ancóra troppi i versi che sarei stato costretto riportare causa il valore del complesso sia attinente allo stilema sia attinente al grido del corpo d’anima ferito. … e giammai potersi ‘smemorarsi’ in un grido come l’Ungaretti del Dolore («Tutto ho perduto dell’infanzia / E non potrò mai piú / Smemorarmi in un grido.» [da Tutto ho perduto, il corsivo è mio]), un grido apparentemente liberatorio.
Elena ‒ ciascuno ha la sua Elena, la sua morte di congiunto œ amico, comunque dell’altro, ciascuno con il suo lamento di essere vivente spogliato delle possibili difensive categorie consolatorie a rinforzo del continuarsi a vivere, come se Elena, o chi per lei, non fosse continuamente presente con il suo morire, di morte. ma qui è bene tagliar corto, la Morte è l’altra faccia della Vita; e si ripeta: se la Vita, che pur viviamo, suona enigma alla comprensione della nostra conoscenza, ¿non lo è forse la Morte, sí da esserne noi gl’ignoranti? e dunque valgono, a pezze d’appoggio, lo Shakespeare e i Wittgenstein di questo mondo cólto e da culto affrontato dalla loro saggezza.
*
RAFFAELE PARROTTA

sabato 24 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARA ZANETTI

MARA ZANETTI – “Ricordi” - puntoacapo Editrice – Novi Ligure (Al) – 2013 – pagg. 31 - € 7.00

Mara Zanetti è nata a Mantova dove vive; Ricordi è la sua opera prima.
La plaquette è una raccolta non scandita, connotata da una forte immediatezza..
Il tema del passato, non vissuta con nostalgia, ma attraverso lo scatto e lo scarto memoriale, è la cifra distintiva di questo testo.
La poeta vive i ricordi come una provenienza da un limbo, che può essere anche salvifico, una materia costruttiva, attraverso la sua attualizzazione nel presente, tramite una parola detta con urgenza.
Quella dell’autrice è una poetica neolirica, sottesa ad una forte eleganza formale.
I versi sottendono chiarezza espressiva, nitore, luminosità e leggerezza.
Le parole nominate con grazia e bellezza riescono ad esprimere una forte linearità dell’incanto, in controtendenza rispetto ad un panorama poetico, come quello della poesia italiana contemporanea, costellato spesso da una grande oscurità e complessità dei linguaggi, adoperati nelle singole raccolte.
L’autrice riesce a creare atmosfere cariche di sospensione e magia, con subitanee accensioni liriche e metafore folgoranti.
Le parole si articolano sulla pagina in modo scattante e veloce e, figura dominante e iterativa, è quella di un t,u al quale la Zanetti si rivolge, del quale ogni riferimento resta presunto, tranne il fatto di essere, o di essere stato, una persona fondamentale nella vita sentimentale della poetessa.
S’intravede una certa vena narrativa a livello stilistico, che si coniuga ad un’ispirazione sorgiva, che produce risultati fortemente icastici.
Per essere Ricordi la prima raccolta dell’autrice, è importante sottolineare che è già connotata da una notevole maturità e, quindi, attendiamo di leggere le opere successive, che mostreranno la continuità di una ricerca che ha già dato buoni risultati.
A volte traspare lo sfondo nel quale si svolge la vita amorosa dell’io-poetante, che è la città di Milano, che con il suo sembiante, il suo paesaggio, condiziona la vita e gli stati d’animo di chi l’abita.
La stessa Milano viene descritta come un riflesso di noia, celato, una città che d’inverno ha un sapore assopito.
I componimenti sono in massima parte brevi e hanno tutti un titolo e sono spesso divisi in strofe.
Più complessa e articolata delle altre la composizione che chiude la raccolta intitolata Incrocio il tuo sguardo; questa poesia è divisa in sei terzine libere e irregolari.
Nella suddetta poesia con grazia e pathos, nel loro mescolarsi, la poeta si rivolge all’amato in tono molto accorato, affermando che dalla sua mente e dal suo cuore sgorga una vita da respirare insieme.
La scrittura procede per accumulo e diviene sia effusione elegiaca dell’animo, sia esercizio di conoscenza.
Centrale la poesia dal carattere vagamente intellettualistico intitolata La memoria cos’è? In questo componimento si realizza una serrata riflessione sul tempo, lo spazio, la solitudine e il dubbio.
**
RAFFAELE PIAZZA



Consolazione

Una brezza tra i cieli dell’anima
una luce
un segmento di strada
timidi nembi d’autunno
in un’oasi solitaria spianata dal male;
impotente pilastro che galleggia nell’aria
in una traccia ormai anonima,
gocce di vita,
un infuso di essenza che assorbe ogni lacrima.

venerdì 23 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA SIMONETTI

FRANCESCA SIMONETTI : “Per sillabe e lame” – edizioni del Leone 2013 – pagg. 48 - € 7,00
Le immagini , incise con garbo e con un dettato personale, si tramutano in pensieri irrisolti o in attraversamenti memoriali di spessore variopinto. Una poesia pregna di illuminazioni improvvise, quasi quale sinfonia che ritorna per rivelare il ponte che aggancia il subconscio alle improvvisazioni del presente. Sentimenti immersi tra il furore della razionalità e l’impegno civile , che non dispiace assolutamente per quei suoi versi che sfiorano il tempo per rimanere legati all’illusione. Non vi sono silenzi che agghiacciano , ma continui segni di pulsazioni arteriose che immergono il segreto della parola nella libertà degli incantamenti. La luce è galassia di note proiettate quasi sempre verso gli strappi di una speranza che determini ancora una volta il futuro. Chiude la silloge un “congedo” tutto teso al battito dei cuori nella profusa melodia degli spazi siderali.
ANTONIO SPAGNUOLO --

NOTIZIA = PREMIO "LE VIE DELL'EROS"

CITTA' DI BRICHERASIO indice il premio "Le vie dell'eros" per poesia in lingua , poesia da declamare , scultura e pittura.
Per ogni sezione il tema indicato è "l'eros"
Termine di presentazione 12 ottobre 2013 da inviare a : Città di Bricherasio c/o Marina Flecchia - via Volta 11 / 2 ---
10066 Torre Pellice (To). E' richiesta tassa di lettura.
Premiazione 16 novembre 2013 .
Richiedere Bando completo a : marina.myosotis@hotmail.it

giovedì 22 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = IVAN POZZONI

IVAN POZZONI – “Carmina non dant damen” - Casa Editrice Limina Mentis – Villasanta (MB) – 2012 – pagg. 43 - € 8,00

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976; tra 2007 e 2010 sono uscite varie sue raccolte di versi; è direttore culturale della Limina mentis Editore.
Chiaramente il titolo del testo prende spunto, ironicamente, dal detto latino notissimo Carmina non dant panem, con il quale i nostri progenitori intendevano dire che la pratica della poesia non dà alcun guadagno in termini materiali ai poeti.
Damen significa in tedesco signore e quindi Ivan Pozzoni, spostando il significato, vuole farci intendere che, come la poesia non apporta il raggiungimento del denaro, così i versi sono inutili anche per la conquista delle donne, nonostante tanti esempi di opere poetiche dedicate a figure femminili, come La vita nova di Dante, scritta per Beatrice e Il canzoniere di Petrarca, in vita e in morte d madonna Laura.
E’ ovvio che i suddetti esempi di opere ormai classiche non avevano come scopo la conquista della donna come può essere intesa nella mentalità degli uomini del terzo Millennio, ma esprimevano una concezione medievale per cui la donna veniva considerata angelicata, punto di riferimento e di partenza per raggiungere un’elevazione spirituale e pervenire a Dio.
Tuttavia la figura femminile è elemento centrale per molti poeti, in primis, Pablo Neruda, che ha scritto bellissime poesie d’amore per la sua donna, anche se la sua conquista era già un dato acquisito.
Entrando nell’ambito stilistico e formale di Carmina non dant panem, bisogna mettere in risalto che la plaquette e suddivisa in tre sezioni e che, semanticamente, presenta un’incontrovertibile struttura architettonica bene articolata, è frutto di una coscienza letteraria consapevole, come già era evidenziato nelle opere precedenti dell’autore.
Il testo, che è corredato da una prefazione di Luca Benassi, ricca di acribia, è suddiviso nelle seguenti scansioni: Amore liquido, Lavoro liquido e Vita liquida.
I titoli delle sezioni, con la ripetizione della parola liquido, ci fanno intendere la cifra distintiva di questi versi, che, mettono in luce un’identità fluida dell’io-poetante, immersa in un mondo liquido qual è il nostro presente, nel senso della suo essere caotico e scisso, tempo nel quale l’individuo è sperso nei meandri della globalizzazione, è alla ricerca delle proprie radici, come ha più volte notato il filosofo Zigmund Bauman.
Il tono del versificare è affabulante e narrativo ed è permeato da una grande musicalità, conseguita attraverso il ritmo cadenzato; il poeta raggiunge una forte chiarezza espressiva e tutte le composizioni sono centrate sulla pagina.
Elementi essenziali sembrano essere misticismo ed erotismo, che si coniugano bene tra loro in una stabile tensione verso la figura della ragazza della quale il poeta è innamorato.
C’è un forte pathos nella vicenda sentimentale narrata in tutte le sue modalità e situazioni, nelle quali il menestrello poeta cerca in tutti modi di conquistare la sua dama..
Centrale il componimento eponimo introduttivo, nel quale viene detta una moneta sulle due facce della quale sono impresse l’effigie di una regina e quella di un menestrello vestito d’un manto di terra.
*
RAFFAELE PIAZZA

**
Da Carmina non dant dame

La mia arte è impotente
a lanciare incantesimi tanto influenti
da tenere senza tempo sospesi nel vuoto due volti,
mescolando in fucina due mondi
in un unico mondo in cui menestrello
ed austera regina si armonizzano a fondo.


mercoledì 21 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = NINNJ DI STEFANO BUSA'

Ninnj Di Stefano Busà : “La traiettoria del vento” (Prefazione di Davide Rondoni)
Collana “Le parole della Sibylla” diretta da Antonio Spagnuolo
Kairòs Edizioni. Napoli. Pp. 122
*

E’ col dolore che si guadagna la parola
*

Sento farsi muta ogni letizia,

scolorire l’erbaspada nel fossato.

È questa l’ora che accende l’anima

e assedia il colore delle strade,

ti segna l’ultima gioia, la più vera.

Rotolerà il seme sulla bruna terra,

come versi disciolti e abbandonati

trascorreranno gli astri ad uno ad uno.

Ancora non ho tempo di mostrare

il tralcio di dolore alla mia carne,

e sono carne e tralcio, odissea

di un andare controvento

*

Opera totale, questa ultima di Ninnj Di Stefano Busà, che abbraccia l’uomo in tutto il suo essere ed esserci. Nella sua perpetua pascaliana diatriba, dicotomica inquietudine di vivere da terreno con lo sguardo all’oltre. In questo suo stare sospeso fra inferno e paradiso, fra piaga e urlo, fra terra e azzurro, fra buio e luce, fra inverno e primavera, fra carne e spirito, fra vita e morte. E sta tutta là l’essenza della vera poesia. Nello scandalo delle contraddizioni. E’ da questo scandalo che trae la sua linfa vitale, il suo taedium. C’è la vita, qui; ma quella vissuta e immaginata; quella conquistata e quella sperata; quella sofferta e quella proiettata; insomma quella vita dove si alternano ombre, spiragli, dubbi, paure; ma anche campi di glicini al sole. Ed è da questo percorso che la Nostra giunge a guadagnarsi la parola e a proiettarla oltre il tempo, oltre la sua misura, ed oltre la comprensione stessa.
Sì, perché la poesia non è solo comprensione. Va ben oltre. Ed è con la parola - scansione di tappe della via crucis – che va al di là del suo essere parola. E’ tutta qui l’intenzione e la caparbia etico-intellettiva di Ninnj Di Stefano Busà, che, da una vita, marcata di una sensibilità sconcertante, affonda ogni perché dentro, per ridarlo al foglio non come semplice messaggio, ma come verbo poetico. Proprio così. La differenza è enorme fra ciò che si scrive per comunicare e ciò che si scrive per trascinare anima e corpo oltre la siepe. Si può toccare l’ultra/umano. Ci si può inebriare di questa contemplazione. Ne possiamo essere risucchiati, azzerati, annullati. O forse realizzati in questo nostro proiettarci in azzardi. Sintonizzare il nostro esistere all’esistere dell’infinitezza che contiene l’umano, forse, è il cuore della Poesia:

*
io cerco

la parabola del cuore, interrogo la compassione,

la meraviglia di un coro d’angeli

che scandisce muta la mia pena,

e quel tremore che in sé respira,

fin dai gorghi dell’ego e si placa

tra le braccia di madre, o nel sangue

che occulta la felicità della carne,

se esile fiammella si finge un cielo chiaro. (Pp. 14)
*
E c’è un chiarore che rimane a scandire quella pena, a darle un senso. C’è uno spiraglio di luce. Non solo lo vediamo a squarciare le nubi che offuscano il cielo, ma lo sentiamo dentro noi; ed è lì che nasce e rimane. Rimane dopo il dolore, le perplessità, i dubbi di una storia fatta di pene. E’ dalla sofferenza che cresce. Dopo i travagli del vivere, dopo le croci del non detto, del non fatto, del non osato, del non compiuto; dopo quei patemi che ci esaltano e ci trasferiscono in un esilio che sa tanto d’immenso – e chissà che l’esilio non sia questa terra e che sia proprio la Poesia a riportare l’anima alla sua promessa alcova -:

Come uccello d’acqua svolerò

tra le rovine verso il sole,

sarò voglia o boccio di pulviscolo,

fiore che dalle rive del giorno

chiama amore e moltiplica in sé la sua follia

o il flusso venatorio del suo sangue. (Pp. 15)
*
Ecco dov’è la Poesia. Dov’è il suo senso. Dove si nasconde il suo mistero. Quel mistero che ci stimola, che ci fa essere plurali, che fa della vita un azzardo continuo verso l’affrancamento, verso l’invisibile; ci scuote, ci tormenta, ci fa provare quei brividi ineguagliabili se riusciamo a intaccarlo quel mistero, a creare un varco. Se riusciamo a innervarci del suo sangue e penetrare nella sua forma di totale musicalità che ci rende eterei. E volare come uccello d’acqua tra le rovine verso il sole, significa svincolarci dalle cose per portare quel barlume verso una luce totale in cui si completa.
Si parte dai fatti terreni, da quelli veri, reali; è lì che la Nostra si mischia e si “intrufola”, per uscirne macchiata, per contenerne quella pochezza apparente, che già è trampolino di lancio verso la stratosfera del Poiein. Sì!, perché la Poesia siamo noi, col nostro esistere fatto di inquietudini e tormenti, ma anche di equinozi di primavere e di sogni. Per questo è utile l’inverno, per questo è utile la notte; perché è dopo il dolore che si affaccia il piacere, ed è dopo il buio che brilla uno spiraglio di luce.
E c’è la coscienza del tempo in questi versi a scandire i ritmi vitali e mortali. A rendere il “Poema” più umano. E’ nella inconsistenza, nella fugacità del presente che l’uomo trova la sua dimensione temporale e lo stimolo alla fuga. Una manciata di rena che scivola via tra le dita con irrefrenabile velocità verso il nulla. La stessa memoria ne resta sconfitta. Troppo grande è il potere dell’oblio. E’ umanamente disumano. Allora si cerca di aggrapparci a quelle dune calde di spiagge ancora vive nella nostra anima. Dune di agavi fiorite, anche. Che riportano a galla nutrimenti indispensabili alla crescita del canto. Infoltiscono l’animo, lo saturano, e ci parlano con voce sommessa di un passato che torna vero, anche dilatato, che ha retto alle intemperie:
Mi accosto come posso

a questa notte che spinge in lontananza

tutte le risposte in sottovoce,

le trattiene solo un poco tra le mani. (Pp. 16).
*
Quelle risposte, trattenute anche un poco tra le mani, possono dare la forza per cercarne altre; basta richiederle alla vita, per squarciare quel mistero che contiene proprio la Poesia:

Una vicenda necessaria è questo vivere

in forse, questa smania di resistere e lottare,

questa fuga monotona che ha perso

ogni suo smalto.

Le cose più vicine sembrano brevi accenti,

l’oracolo non segna il calendario,

inala nelle vene solo il suo morire

a silenzi intermittenti, che già scrivono

tasselli a rime stanche.

Il senso di ogni cosa lo serba la memoria. (Pp. 17).
*
Quella memoria che può essere alcova di riposo, sospensione di vicissitudine quotidiana, nirvana edenico, ma anche coscienza di precarietà del tutto a cui si può sopperire affidandoci agli orizzonti che svincolino dal caduco.
Direbbe il poeta: “Il tempo, il luogo, e la memoria fanno della vita un libro da leggere, rileggere e sognare; un libro che vale la pena portare con noi, in ogni caso ”.
E’ talmente profondo il pozzo delle emotività della poetessa, che sente la necessità, sempre più impellente, di una rete verbale disposta ad amplificarsi per corrispondere a tanta urgenza interiore:
E io non ho parole, ma solo qualche sillaba

di scorta, qualche nulla che è uguale

ad altro nulla e vince sempre

il buio dopo la luce, e tutto si conclude,

tutto tace, come un battito di ciglia

controsole, un gioco di parole

necessari alla storia di tutti, di ognuno. (Pp. 18).
*
La parola – è il caso di dirlo – è un suono/segno umano; l’anima è spirito che aleggia verso le mete del cielo, che tende a elevarsi; e la Nostrapercepisce questa disuguaglianza; da qui la sua ricerca verbale, la sua acribia tecnico-fonica, la sua premura di incastri etimo-allusivi, che la contraddistinguono nel diorama letterario attuale. Che fanno della sua avventura artistica un punto di riferimento di rilievo.
Lei sa che la Poesia è lì per essere catturata; e che è quell’insieme di corpo e di spirito disposto a salire, ad andare oltre. Trovare quella simbiotica fusione, ricorrendo ad immagini filtrate dal tempo, o a combinazioni di sapore panico che ci aggancino alle primavere, e ci svincolino dall’impasse degli inverni, vuol dire elevarci a quelle sonorità di cui gli innesti verbali sono l’anima. E’ allora che quel canto trova il verso di scorrere pregno di significanti che interagiscono con l’uomo e il suo esserci. E credere un po’ ai rigori degli inverni, o ai buiori delle notti può far bene, perché si possono apprezzare ancora di più gli slarghi primaverili delle mimose; le aperture infinite della luce:
Forse un po’aiuta questo credere

agli inverni…domani sarà equinozio

di primavera che ci porta lontano

dall’impasse, dai giorni stenti,

e dai volti che non tornano,

o spuntano alla rinfusa, senza nome. (Pp. 19).
*
E anche se il vento ha la sua traiettoria, e anche se niente può cambiare il dipanarsi degli eventi, la Nostra sa che la luce esiste; e che può illuminare il vento più tenace; che lo può riscaldare. E che lo può fare ai margini degli inverni, quando i nidi sono spogli, quando la notte sostiene le azzurre dimore, proprio perché è da là che riaffiora il giorno, come dall’inverno riaffiora una primavera che sa tanto di vita:
Ci vuole la notte...

per liberare fioriture di labbra,

scaldare sguardi e giorni capovolti,

sensi ossidati e trascorrenti.

A margini invernali, tra nidi spogli

e passeri svolati la notte rallenta la morte,

sostiene tra le pallide ombre

l’artificio degli occhi, le azzurre dimore,

senza più sogni Pp. 111).
*
E rinasceremo come glicini nel sole:

Non resta che un campo

di maggese, un segnale fiammante,

che non cede, balugina appena

un altro incanto: rinasceremo

come glicini nel sole. (Pp. 100)

**

NAZARIO PARDINI 08/04/2013

lunedì 19 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = WANDA MARASCO

WANDA MARASCO – “La fatica dello stormo” La Vita Felice – Milano – 2013 – pagg. 91 - € 13,00

Wanda Marasco è nata a Napoli. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia e un romanzo; suoi testi sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco e greco; tra i riconoscimenti più importanti il Premio Montale e il Premio Bagutta “Opera prima”.
La fatica dello stormo è un testo non scandito e presenta tutti i suoi componimenti senza titolo: anche per questo elemento, oltre che per la sua organicità intrinseca, può essere considerato e letto come un poemetto.
La poetica espressa dalla poeta in questa raccolta può essere considerata neolirica ed è connotata da un tono molto alto.
Colpiscono la leggerezza e l’icasticità del dettato e il nitore e la velocità dello stile.
Sono caratteristiche evidenti della raccolta una forte densità metaforica e sinestesia e un notevole equilibrio formale; il tono è colloquiale e caratterizzato da chiarezza nella sua pur incontrovertibile complessità; il tessuto linguistico è articolato.
L’io poetante, a volte, si rivolge a se stesso in modo solipsistico; nella maggior parte dei casi si rivolge ad un tu al quale vengono dedicati quasi tutti i componimenti.
Il tu, presumibilmente la figura maschile di un passato amore, viene riattualizzato nella memoria con uno scatto e scarto memoriale e pare emergere da un’arcana provenienza.
Nel versificare dell’autrice si avvertono una certa dolcezza e un senso di felicità nel dolore.
Oltre la tematica amorosa, che è centrale, è presente il tema del volo, sia dello stormo, come dal titolo, sia della colomba tunisina.
Fattore essenziale, caratterizzante tutta la raccolta, è quello di una quotidianità, che pur essendo detta con urgenza, è priva di riferimenti concreti, basandosi l’ordine del discorso su parole di sentimento.
La cifra dominante che trapela dalle pagine è quella di un acuminato senso del dolore che appare controllatissimo e sublimato, per usare un termine psicoanalitico, tramite il medium di una poesia, che tende all’estasi e alla vertigine, nonché alla redenzione.
Tuttavia, anche se raramente, si constatano accensioni di gioia come nell’incipit di un componimento, uno dei primi della raccolta:-“Alleluia in una camera d’albergo/…-”.
L’armonia e la musicalità dei versi è raggiunta attraverso il ritmo armonico e sincopato.
Nei versi rarefatti è presente un forte senso della corporeità come quando l’autrice scrive che riavrà quella presenza nelle sue vene dove per vivere verrà appunto quella presenza misteriosa, in un’immagine veramente alta.
Nel suo intervento critico ricco di acribia Milo De Angelis scrive che la poeta in questo libro prosegue il suo colloquio con le ombre; prosegue il suo dialogo con le “chiare o cupe cicatrici di chi è passato”. E qui il passato non è solo il tempo perduto, ma è un tempo di perdita, in continua e incessante perdita; si intreccia al presente, e lo fa più vivo, e tragico, lo abbraccia in una stretta amorosa.
Una raccolta che scava fino in fondo nelle regioni catartiche e salvifiche della parola poetica stessa..
*
RAFFAELE PIAZZA
***

Tu vuoi che io nasca e muoia
così come se niente fosse
anche se piove da cent’anni appena
e solo adesso veramente piove
il mio segreto
della natura guasta al cuore,
la povera passione
di storie tramontali e vinte.

SEGNALAZIONE VOLUMI = VALERIA SEROFILLI

VALERIA SEROFILLI : “Dai tempi” – ed. puntoacapo – 2013 – s.i.p.
L’abbraccio della memoria percorre la parabola in un vortice abilmente colorato , sia per le metafore che si avvicendano pagina dopo pagina , sia per le allusioni che stringono nelle apparenze della vita quotidiana. Il ritmo della Serofilli ripete nel tempo quel lievito che ogni sguardo dovrebbe accettare come musica del verso , interrotto dal segno , impastato di novità. Lo smarrimento palesa il filo della ricerca in un gioco elegiaco che riesce a ricucire tempi diversi e interrogazioni amalgamate. La narrazione è sospesa al fiato corto della lettura, in una scarnificazione che mette in rilievo il valore logico e riconosciuto delle immersioni fenomenicamente immaginate. Le pulsioni si giocano fra testimonianze inaspettate, rivelazioni quasi sempre fulminanti, e la disparità delle frequenze scommesse non cerca l’aria per respirare ma è l’aria da respirare, anche se la cometa è appesa a un filo e difficilmente riuscirà a coinvolgerci. Attraverso una forma vaga di diario il sogno viene vissuto come passato / presente attualizzato ed i preziosi frammenti sparsi come un mosaico , come memoria involontaria, sono spontanee illuminazioni che sorgono dall’inconscio attraverso la via dei sensi. Cardine di una operazione letteraria , svolta con passione radicata , è la misura equilibrata in relazione agli elementi della retorica e del proporsi, una continua tensione a livello linguistico, nella quale l’autrice tende a richiamare canoni tradizionali fusi nella sperimentazione del riflesso alle distinzioni. ANTONIO SPAGNUOLO -

mercoledì 14 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = MATILDE V. LARRICCHIA

MATILDE VITTORIA LARRICCHIA – “Non ci sono foto ma qualcosa è rimasta”-
puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2013 – pagg. 47 - €8,00


Matilde Vittoria Larricchia è nata nel 1985 a Livorno, dove vive dopo aver abitato in numerose città; questa è la sua raccolta di esordio.
Non ci sono foto ma qualcosa è rimasto è un testo scandito in tre sezioni: intitolate: Sempre, Durante e Dopo.
Già dai titoli dei suddetti segmenti si evince che nella raccolta è centrale il tema del tempo.
Il testo è preceduto da un componimento introduttivo senza titolo, che ha un carattere programmatico diviso in tre strofe; in esso si riscontra una grande chiarezza e trasparenza del dettato ed è presente il tema della metamorfosi.
Nella suddetta poesia la poeta afferma che un giorno esplose e che proiettata in pezzi avanti ha tastato cieca attorno per sperare in qualche coccio.
La composizione è originale, dal taglio narrativo, e connotata da una dizione icastica e sicura, caratterizzata da una certa pesantezza, che si coniuga con lentezza, senza che queste due ultime caratteristiche debbano essere intese in un’accezione negativa.
Le poesie sono pronunciate in prima persona e la Larricchia riesce a creare, nel tessuto linguistico, sospensione e mistero.
Contrariamente a quella iniziale, le poesie delle tre parti, che presentano una certa organicità, sono leggere e scattanti e da esse traspare una certa magia, che si coniuga a visionarietà.
Inoltre è presente una certa forma anarchica nei versi, che a volte sfiorano l’alogico e il misterioso.
L’io poetante è fortemente autocentrato e si assiste al ripiegarsi dell’autrice su se stessa, alla ricerca del vero senso della vita, attraverso una parola detta con urgenza, non senza l’apertura verso un tu del quale ogni riferimento resta presunto.
Tutte le poesie sono costituite da frasi brevi molto incisive: la giovane poeta riflette sulla sua condizione di persona che si trova ad affrontare la vita che si svela nel rapporto con l’alterità e nelle situazioni quotidiane più svariate.
La poetica dell’autrice può essere definita antilirica tout-court e sua cifra dominante pare essere considerata una sua certa vena esistenzialistica.
Particolarmente interessante la composizione Sono parola, tratta dalla prima sezione; in questa poesia si crea un intrigante gioco di rimandi dal foglio scritto, alla mente poetante, che divengono una cosa sola, in un procedimento che non ha nessuna traccia di autocompiacimento.
Il libro, complessivamente, può essere considerato un poemetto e ogni sua singola parte può essere vista come una variazione sullo stesso tema, che è quello della ricerca di un equilibrio nello stare al mondo, nel tentativo di abitare poeticamente la terra.
La vita è sempre la stessa nel suo eterno ritorno, nel suo giornaliero riaccadere e solo la poesia e la sua pratica, attraverso la scrittura, riescono ad infonderle un senso profondo; queste sensazioni si percepiscono anche attraverso la lettura del titolo della raccolta (Non ci sono foto ma qualcosa è rimasto), attraverso il quale l’autrice vuole darci il sentimento di una memoria salvifica, la nostra provenienza, che è viatico verso l’attimo presente: infatti dei momenti belli e felici, anche se non ci sono fotografie a suggellarli, rimane sempre una traccia indelebile nelle nostre menti,
RAFFAELE PIAZZA --
*
Sono parola

Leggera e squadernata
come foglio di carta
mutevole pallida
accolgo.
Mi scrivo l’amore
Costruito
Assorto
limato eppure storto e fittizio.
Cancello
Strappo, ondulata di lacrime
aspetto.
Se questo scirocco mi porterà via
voglio solo lidi di vita
vera calda ocra imperfetta.
*

martedì 13 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA GABRIELLA GIOVANNELLI

MARIA GABRIELLA GIOVANNELLI – “Sole rosso” - puntoacapo Editrice – Pasturana – (Al) – pagg. 59 - € 9,00

Maria Gabriella Giovannelli è attrice e regista; ha pubblicato la raccolta di poesia Voci, 1990 e il romanzo Il campo dei Colchici, 2009.
Sole rosso è un testo suddiviso in tre sezioni eterogenee tra loro per la materia trattata; le scansioni sono intitolate Terre di luna, Abisso dell’anima e Quella parte di noi.
Nel componimento introduttivo Polonia, come in altri, la natura si fa animata e mistica, come in altre poesie del libro.
In Polonia i pini divengono grani di rosario imploranti, in un’immagine alta originale e suggestiva.
Nei componimenti di Terre di luna emerge un passato doloroso, che, in una bella poesia, trova un riscatto attraverso l’immagine di un bambino che corre in un campo di grano, figura ottimistica.
La suddetta provenienza infelice è detta attraverso la descrizione di popoli che nel ‘900 hanno conosciuto la sofferenza attraverso la storia, come quelli della suddetta Polonia e anche della Slovacchia e viene detto un treno che portava ad Auschwitz e al suo oceano di dolore e di male ai tempi tragici del nazismo.
In Sole rosso la dizione è icastica e precisa; la cifra dominante è quella di una forma precisa e controllatissima e il dettato è connato da nitore e luminosità.
Molte volte la poeta utilizza metafore vegetali e piante di vari tipi e dimensioni vengono nominate con accuratezza.
Si può affermare senza ombra di dubbio che una poetica neolirica caratterizza il testo, originale in un’epoca nella quale prevalgono orfismi e sperimentalismi di vario genere, produttori, in massima parte, di tessuti linguistici oscuri.
In Abisso dell’anima, seconda parte, il discorso si fa solipsistico e l’io-poetante diviene molto autocentrato, nel suo ripiegarsi su se stesso, anche attraverso raffigurazioni naturalistiche e corporee.
Qui l’io-poetante discende nelle profondità della sua anima, in un ripiegamento su se stesso e, talvolta, emerge un “tu” al quale la poeta si rivolge, del quale ogni riferimento resta presunto, tranne nel caso in cui viene nominata la figlia in Così ti vedo.
La stragrande maggioranza delle poesie della raccolta sono formate da strofe e sono caratterizzate da versi cesellati e composti con molta attenzione, molto sorvegliati.
Vengono dette parole come anima, esistenza e silenzio ad indicare una sentita riflessione sulla vita, la gioia e il dolore, il bene e il male..
I versi procedono per accumulo e sembrano scaturire gli uni dagli altri.
Nel segmento In quella parte di noi il tema e tout-court quello del dolore, detto senza gemersi assolutamente addosso.
In questa parte vengono nominate ferite, fotogrammi oscurati e lacerazioni in una mente disillusa che, tramite la parola poetica stessa, pronunciata con urgenza e nervosismo, divengono simboli di una condizione difficile, di un male di vivere, di un mal d’aurora.
Sole rosso si colloca in una posizione a se stante nella produzione letteraria poetica italiana di questo inizio di millennio.
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RAFFAELE PIAZZA --
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Polonia

Pini allineati
lungo una linea infinita
frecce rivolte al cielo
come grani di rosario
imploranti.

sabato 10 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIUSEPPE VETROMILE

GIUSEPPE VETROMILE – “ Percorsi alternativi “ -Marcus Edizioni – Napoli – 2013 – pagg. 69 - € 14.00

Giuseppe Vetromile è nato a Napoli nel 1949; è poeta e critico letterario.
Da anni risiede a Sant’Anastasia, dove svolge un’intensa attività di promozione culturale con il suo Circolo Culturale Letterario Anastasiano.
Percorsi alternativi è un testo composito a livello architettonico per la sua scansione in numerose sezioni, che genera, attraverso i rimandi, una forte organicità.
La chiave interpretativa della raccolta consiste nella constatazione, nell’assunto, che, in quanto persone, siamo confinati nel cronotopo spazio-temporale, soggetti alla morte e alla caducità.
Il poeta tende a rappresentare l’individuo sotto specie umana,, per dirla con Mario Luzi, come un essere fragile.
Tuttavia, tramite i percorsi alternativi, dei quali parla l’autore, possiamo diventare capaci di aprirci delle zone all’ombra della salvezza se non della gioia, nelle quali ritrovare noi stessi e il senso pieno della vita.
Potrebbero essere paragonati, i suddetti tragitti, agli attimi heidegeriani, feritoie nel passaggio tra passato e futuro, a prescindere dal credere o meno in una prospettiva trascendente.
Traspare dalle pagine un anelito verso una ricerca di pienezza a livello ontologico.
Nel poiein del nostro si riscontrano chiarezza e nitore e tutte le poesie sono suddivise in strofe.
Il versificatore ha una profonda fede nella stessa parola poetica e, nel brano introduttivo in prosa, intitolato Diversificare la propria strada, leggiamo:-“ Con la poesia si costruiscono ponti per l’aldilà, per tenerlo sotto controllo”, frase emblematica dei suoi intenti e della sua tensione verso l’assoluto.
Vetromile è alla ricerca di vite parallele per superare il nichilismo; la prima sezione eponima è costituita da cinque Varianti.
Nelle suddette composizioni è nominato il tema del movimento che, simbolicamente, rappresenta la strategia per affrontare l’esistenza.
La dizione è leggera, icastica, scattante e veloce; tutti i componimenti sono scritti in prima persona e, a volte, la percezione, per il lettore, è quello di assistere ad un sogno ad occhi aperti.
In Annuncio di ritardo l’andamento è affabulante e il tragitto percorso in treno si fa metafora della vita e del suo accadere..
Come scrive Alessandro Carandente, nella quarta di copertina, il nostro, per diversificare, si avventura in una terra incognita, prova le varianti, i transiti interrotti e provvisori, tenta possibilità, vie di fuga.
Ci offre tentativi di oltrepassare la morte, eludere le frecce direzionali del beffardo corso della vita.
E’ presente, ovviamente, una matrice filosofica, in questo testo, che è caratterizzato da una vena vagamente gnomica.
In Tangente all’infinito, tratta dalla sezione Per vie di fuga, il poeta, per esorcizzare il dramma della finitudine, produce versi densissimi a livello analogico, semantico e sinestesico, veramente alti:-“ /Noi proprio in mezzo al cerchio delle cose/ ci conviene tracciare tangenti all’infinito/ con un muro di cielo trasparente o diafano/ quanto basta ad indicare tutto e niente/…”-
E’ chiaro che qui è fondamentale il tema del limite, affrontato con una simbologia geometrica veramente originale.

RAFFAELE PIAZZA---
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Variante - sez. 1

Dubito che sia reversibile il viaggio in altro parallelo
ora che è noto il punto di non ritorno
dove si stacca la perla dalla bocca
per dire che è finita l’avventura
mia cara,
possiamo riposare in questa stazione
senza badare a cataclismi foschi
sospesi nella notte senza fine.

Domani riprenderemo la via del sottobosco
quella che non conviene ai precisi
ed ai pieni di ogni grazia
che noi mia cara
abbiamo perso il filo del discorso
e in questi passi ritroveremo forse
il bandolo della matassa.


venerdì 9 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIETTA PASTORELLI

ANTONIETTA PASTORELLI: “Lo sanno le nuvole” – Ed. Guida – 2012 – pagg.64 - € 9,00
Nei riflessi, a volte luminosi , a volte opachi, che la quotidianità incide, le pagine che Antonietta Pastorelli realizza cercano di mutare ansie ed illusioni nella scrittura poetica che accoglie quei segreti e quelle sensazioni continuamente sottese alla indefinibile scena del vissuto. L’amore ha uno scrigno riposto tra le gioie e i tentennamenti , schiudendo versi che potrebbero essere boccioli da maturare e da rielaborare, ed infiltrati in ogni avventura intellettuale. A tratti il dubbio ha intermittenze esistenziali, che tendono alla tensione metafisica , anche se il dolore per la mancanza ha flussi d’energia incrociati. Ripercorrere il proprio cammino , dal seme coltivato alla carezza delle parole sussurrate , propone flussi di inquietudine sempre più viva e genuina nella partecipazione del verso.
ANTONIO SPAGNUOLO -

giovedì 8 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = CATERINA DAVINIO

CATERNINA DAVINIO – “Aspettando la fine del mondo” (Waiting for the End of the Word) - Fermenti Editrice – Roma – 2012 – pagg. 123 - € 12.50

Caterina Davinio, nata a Foggia nel 1957, è cresciuta a Roma; ha pubblicato varie raccolte di poesia, il romanzo Còlor còlor, 1998 e il saggio Tecno-poesia e realtà virtuali con traduzione inglese, 2002
Nel libro le poesie presentano la traduzione in inglese a fronte, a cura della stessa Davinio e di David W. Seaman.
Al testo poetico seguono una postfazione di Erminia Passannanti, intitolata Denuncia, vigilanza, delirio e visione nei poemi de “Aspettando la fine del mondo” e una nota critica dello stesso Seaman.
Il libro è strutturato in due poemi: Africa e altro (Sequenza instabile e numerata) e Sciamani (Goa), Cammino nel nulla, e sono raggiante e vivo.
Come scrive la stessa poeta in una nota, Aspettando la fine del mondo indossa panni ermetici e visionari; quando l’inferno di paesi ancora straziati dalla guerra e dalla povertà, incontra l’inferno di un’anima ammalata, ferita, si sprigiona questa umile luce, una prostrata poesia di bagliori, oscuri raggi e lampi.
Protagonista pare essere la stessa Africa, che viene introiettata dalla mente dell’autrice con tutte le sue sfaccettature e il suo fascino, nel bene e nel male, dagli aspetti religiosi e mistici, alla piaga della guerra.
Il continente viene vissuto, interiorizzato dall’autrice, come uno specchio, un alter ego della propria sensibilità, della’anima.
Si avverte nel versificare la forte presenza di un’epica del quotidiano, che viene ad includersi nell’epica storica e antropologica della regione africana..
Ognuno dei due poemi è strutturato in frammenti; per quanto riguarda la forma praticata dall’autrice, è incontrovertibile affermare che il genere poematico si riscontra molto raramente nel panorama letterario contemporaneo e, quindi, la scrittura della Davinio è sottesa ad una forte originalità, ad una quasi totale uscita dagli schemi più usuali..
Per parlare del fenomeno Africa, terra nella quale, secondo Alberto Moravia, la natura è superiore all’uomo, bene si adatta la forma del poema, piuttosto che quella delle poesie sparse, per affrontare in modo unitario il discorso: in questo si dimostra un’acuta coscienza letteraria.
Lo stile è caratterizzato da chiarezza e icasticità e i versi sono scattanti precisi e ben controllati e sono anche permeati da leggerezza..
Il tono è spesso vagamente affabulante e quasi narrativo e l’io poetante tratteggia, ,attraverso una parola detta con forte urgenza, aspetti dell’Africa molto spesso anche naturalistici, tramite descrizioni di erbe, selve, boscaglie umide, sponde e deserti, e anche con la nominazione di vari esponenti della fauna, come leopardi e scimmie.
Nonostante il forte impatto emotivo tra poeta e materia trattata, la dizione è sempre molto sorvegliata e controllata, pur inverandosi nelle pagine una discesa in sé stessa, dell’anima della poeta, scossa nella sua interiorità e incapace di aderire alla normalità.
Nel contesto globale sembra intonato e denso di significato il titolo Aspettando la fine del mondo, perché gli scenari africani apocalittici bene s’intonano, nella loro tragicità, a livello storico e ontologico, e anche empaticamente, con l’infausta previsione, secondo una profezia Maya, della fine del mondo, che dovrebbe accadere il 21 dicembre 2012, data inquietante sulla quale si è pronunciata anche la NASA.

RAFFAELE PIAZZA
***

Natural dance

Ti saluto,
riva sterminata di notte,
agitando le braccia
come uno sciamano nel mare, inchiostro
e la schiuma argentea sull’onda sinistra,
segnano il ritmo fresco
di piedi
posseduti
dell’aere psichedelico del rave
quando il corpo tende
il suo arco,
passati ancestrali
ed ebbrezze
misteriche,
su spiagge segrete
di gioia selvaggia.

mercoledì 7 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELE SANTORO

DANIRELE SANTORO, Sulla strada per Leobschutz, La Vita Felice, 2012, pp. 65.

Il libro di poesia, che prendiamo in considerazione in questa sede, è suddiviso in due sezioni, la prima eponima e la seconda composta solo da sei testi, intitolata Principio e fine. Daniele Santoro, prima di scrivere questo testo, si è documentato sui fatti accaduti realmente e, quindi, Sulla strada per Leobschutz è caratterizzato da una forte aderenza alla verità storica. Si potrebbe aggiungere che, per la sua unitarietà formale e di argomento, il libro può essere definito un “poemetto” giacché la giustapposizione dei diversi frammenti legati tra loro rende il tessuto linguistico denso e compatto a livello espressivo.
Il tema è quello dei lager, voluti dal nazismo. La poetica che l’autore ci presenta è però del tutto antilirica e ha come denominatore comune una forte chiarezza la cui cifra dominante è quella di un realismo connotato da una grande crudezza. In effetti c’è una forte fisicità nelle descrizioni di Santoro anche se, trattando del dolore, il poeta non indugia mai in autocompiacimenti. Si parla di armi e di torture e di violenze di ogni tipo ma l’approccio poetico nel descrivere i fatti genera una certa valenza narrativa mentre le immagini appaiono icastiche ed efficacemente delineate: al centro si staglia, potente, il mistero del male.
Un senso forte di morte aleggia nelle pagine e, non a caso, all’inizio del testo, vengono riportati indimenticabili versi di Paul Celan, il poeta che visse in prima persona l’esperienza dei campi di sterminio.
I componimenti ci fanno penetrare nella selva oscura del lager e una voce poetante, che si esprime in terza persona, descrive con rigoroso controllo formale molte situazioni che il lettore può associare alle fotografie in bianco e nero, che testimoniano pagine di storia affidate alla memoria.
Per l’argomento trattato, nel panorama della poesia contemporanea, Sulla strada per Leobschutz emerge dal mare magnum di altri neolirismi e orfismi, nonché di vari sperimentalismi più o meno efficaci.
L’originalità così espressa dall’autore si fa esercizio di conoscenza tout-court e tinte cupe e sanguigne costellano i contenuti narrativi di queste drammatiche pagine. Le poesie, che qui appaiono come tasselli di un mosaico, tendono all’unitarietà e sono strutturate in una lunga e ininterrotta sequenza, senza punteggiatura.
Il fatto di iniziare con la lettera minuscola ne amplifica il senso di mistero.
Santoro ci presenta quindi dei fatti e in questo la sua poetica può essere considerata vagamente narrativa benché immersa in una dimensione che sconfina nel surreale.
Tutta è materico, in questo libro, in cui i protagonisti - ridotti a mera fisicità – si muovono tragicamente su due unici versanti: quello dei morti e quello dei carnefici.

RAFFAELE PIAZZA

lunedì 5 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = FLAVIO ALMERIGHI

FLAVIO ALMERIGHI – Procellaria - Fermenti Editrice – Roma – 2013 – pagg. 61 - € 11,00

Flavio Almerighi è nato a Faenza nel 1959; ha pubblicato numerose raccolte di poesia, tra le quali Voce dei miei occhi, Fermenti 2011.
Alcuni suoi lavori sono usciti su prestigiose riviste di cultura letteraria.
Procellaria è un testo non scandito composto, sia da poesie di una sola strofa, nella maggior parte dei casi verticali, sia da componimenti costituiti da più strofe.
Il titolo prende il nome da un volatile, la procellaria appunto, al quale è dedicata la composizione eponima.
L’uccello in questione è grande, nero e bianco e vola sfiorando le onde e nidifica sulle scogliere.
Si trova più facilmente nelle acque temperate degli oceani dell’emisfero meridionale.
Ha grandi ali ed è pelagico, al di fuori della stagione della riproduzione.
Usa una tecnica di volo che lo porta a muoversi attraverso la cresta di due onde facendo il minimo sforzo di volo attivo.
Visita il nido soltanto per nutrire i piccoli, che sono sempre in nidiate di un solo esemplare alla volta, come la solitudine.
Il libro presenta una eterogeneità dei contenuti e dei temi trattati e la sua scrittura è del tutto antilirica e antielegiaca.
Il linguaggio del nostro è scattante e icastico e ha una forte densità metaforica e sinestesica.
I testi sono strutturati, nella maggior parte dei casi, in lunga ed ininterrotta sequenza e sono ben risolti.
In Rosso d’uva, la prima composizione della raccolta, il tema è quello del sogno, dell’incubo.
In essa il poeta descrive una scena onirica, nella quale viene accoltellato nella notte e muore… per poi risvegliarsi.
A questo proposito si deve sottolineare che una delle tematiche prevalenti è quella del male.
La poetica dell’autore è caratterizzata dalla presenza di un io-poetante molto autocentrato.
Il versificare è vagamente anarchico ed è permeato da alogicità; il tono spesso è assertivo e c’è la presenza di un tu evanescente al quale il poeta si rivolge.
I versi procedono per accumulo e scaturiscono gli uni dagli altri.
Cifra prevalente della raccolta è quella di una forma dominata da mistero, vena surreale, dissolvenza e sospensione.
I sintagmi sono connotati da un’aurea vaga e si assiste ad un notevole scarto poetico dalla lingua standard.
Centrale, nel testo, il componimento procellaria, nel quale il poeta raggiunge una vaga chiarezza e un trasparente nitore.
I suddetti elementi sembrano estranei alle altre poesie, che sono, nella maggioranza dei casi, oscure e complesse.
Il volatile potrebbe, nel suo volo, diventare simbolo della poesia in se stessa, nel suo dipanarsi, e della linea espressiva del versificatore.
E’ la procellaria stessa la voce poetante che, nel susseguirsi dei versi, si racconta.

RAFFAELE PIAZZA




procellaria


Quando dio decise
dimenticò il compasso,
ebbe comprensione
mi carenò, sempre pronta
a sfrecciare l’acqua
con violenza, ricetta base
di ogni portata.

Difficile esercizio
la dignità con le lettere
sono possibili soltanto
a stomaco pieno,
ho il dovere di sorvolare
avvitarmi, colpire
senza esultanza per altro,

da sempre figlia unica
riposta sulla cresta
di due onde
e sola già dal nido,
l’unica mia vita
è trovare altra forza
continuare a predare.



venerdì 2 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCA BUONAGUIDI

LUCA BUONAGUIDI: “I giorni del vino e delle rose”- Fermenti Editrice, 2010, pagg. 65, € 12,00

Luca Buonaguidi, l’autore del libro che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato a Pistoia nel 1987; originario di Montecatini Terme, vive oggi a Firenze; cultore di cinema, letteratura, musica è al suo esordio letterario.
I giorni del vino e delle rose è una raccolta di poesie non scandita e che, anche per questo, presenta una certa valenza poematica. Quella di Buonaguidi è una poetica connotata da una grande chiarezza, raggiunta anche attraverso uno stile intensamente narrativo. Le poesie che compongono la raccolta, sono in gran parte verticali, fluide, scattanti e leggere e, in esse, non manca spesso un tono intimista; si avverte la ricerca di un senso profondo della vita da parte dell’io-poetante, che esprime una nostalgia controllata.
Il componimento, che apre la raccolta, intitolato L’amore del mio respiro, ha un carattere programmatico; in esso è presente anche un tema etico; in questo testo c’è un voi al quale il poeta si rivolge; nella poesia si riscontra una forte densità metaforica, sinestesica e semantica a partire dall’incipit di L’amore del mio respiro:-“Non riesco a scivolare/ lungo il percorso/ che mi avete preparato,/ non conosco il significato/ di questa mia estasi d’amore/ e non chiedetemi/ di abbassare lo sguardo/ e camminare diritto sotto il sole…/”; del voi, al quale il poeta si rivolge, ogni riferimento resta taciuto, sappiamo solo che il voi ha preparato un tragitto per l’io-poetante e tutto il senso resta pervaso da una vaga bellezza; in L’amore del mio respiro, l’autore afferma che, tra queste entità, alle quali il poeta si rivolge, è presente l’odio e che tanti altri volevano solo amarle e tanti altri solo salvarle: tutto il contesto resta imbevuto di mistero e da un’aurea di vaghezza. Si ritrova qui un io poetante molto autocentrato e viene espressa una poetica che si realizza per mezzo di una riflessione introspettiva. In Assenza si ritrova l’intrigante tematica della poesia nella poesia:- “Assenza,/ cosparsa di silenzio/ che si veste in verso/ fragile come pallido sole d’orizzonte/ dopo la prima pioggia autunnale/-“; in questi versi sembra che venga trattata poeticamente la tematica della dialettica tra detto e non detto.
In Sono povero, luna emerge un intenso tono lirico, nella tensione dell’io-poetante di interanimarsi con la luna, alla quale si rivolge chiamandola amica suprema musa, in una maniera che ricorda lontanamente Leopardi.
La raccolta è caratterizzata da una poetica neolirica, che presenta, d’altro canto, una vena fortemente intellettualistica. A volte il discorso dell’autore, sempre originale, è sotteso a un tu,femminile, al quale il poeta si rivolge, con toni e modi accorati e leggermente sensuali che, ricordano vagamente Neruda:-“L’incanto celato/ nei tuoi occhi/ un sorso corto/ di acqua fresca/ dopo una lunga sete/ d’amore e compassione/-“; sono molto belle e icastiche queste immagini, tratte dal componimento L’autostrada greca; la donna amata è qui calata in un contesto naturalistico e molto affascinante è la similitudine tra gli occhi della donna e l’acqua fresca, che dà alla situazione amorosa un tono dolce e pervadente.
L’ordine del discorso in I giorni del vino e delle rose, sembra essere sotteso ad una ricerca della propria dimensione nell’hic et nunc della vita, del senso, dell’etimo, come in La mia casa non esiste, poesia nella quale il poeta afferma che la sua casa è altrove ed è una terra di nessuno, un viaggio lontano; in questa poesia viene detta anche la selva oscura dantesca, dalla quale, presumibilmente, uscire tramite il medium della poesia stessa; vengono nominate, tra le righe, anche le filosofie orientali che, per tanti, sono, nel nostro postmoderno occidentale, un mezzo di salvezza per emergere dal mare magnum della quotidianità liquida e caotica.
RAFFAELE PIAZZA
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Due testi tratti da I giorni del vino e delle rose
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Carpirò la poesia

Carpirò la poesia
per spargerla in strada
come gelsomini
raccolti in mani
di fanciullo.
Inviterò il cielo
ad affrescare le parole

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Nella vile folla di vite

Covare solitudini
sgusciando via
in strade affollate,
elemosinando spiccioli di vita,
i pugni in tasca
stringono l’inconsistenza
dei miei giorni.
Chi accenna un sorriso sincero,
che nasconde
chissà quale pensiero,
che sfoga la noia
in passi stanchi e forzati,
chi osserva i bambini.

SEGNALAZIONE VOLUMI = BETTA MONTANELLI

BETTA MONTANELLI : “L’assorta tenerezza della terra” – Ed. Bastogi – 2013 – pagg. 118 - € 12,00
E’ un temperamento fortemente poetico, versatile e polisemico quello di Ines Betta Montanelli, portato ad accreditare la sua ispirazione lirica anche nei punti oscuri e impenetrabili del mistero umano.
Una carica di stupore notevole emerge da un tono compositivo fortemente orchestrato alla musicalità del verso, scandito con piena e docile meraviglia, senza iperbole, senza strutturalismi “altri” che danneggerebbero il tono aulico e sentimentale, meditativo e schietto della sua poesia.
Anche quando le immagini sono più aspre o preludono a espressioni di disagio e sofferenza la penna di Ines sa gestire egregiamente le metafore, le sinergie e l’afflato tra le parole e la realtà circostante, dai sintagmi si evince, un mondo interiore ricco e fertile, coccolato e reso accattivante dentro la minima particella lessicale, che si rinnova sempre alla speranza, si apre alla passione dentro il bagliore di un accettazione di vita che è ancora meraviglia consolatrice: “Vengo da gente sfinita sopra scranne/ di sudore che celava libri antichi/ nella madia del grano e nelle notti/ di luna cercava la sua stella d’amore/ al suono di un violino./.../ vengo da mistici silenzi di albe assonnate/.../ calde tenerezze di fiumi e di cieli tersi/ custodi di un tempo quasi irreale.” (Vengo da).
Come note orchestrate da un violino, le poesie si snodano piano, si fanno carne e sangue del disgelo, della sofferenza di una visione infine autentica di sacralità e ricerca di gioia.
Vi è nel profondo della poesia montanelliana una metafora impellente, pronta a dare il meglio di sé in un canto che si fa vibrazione nel tratto indivisibile dell’anima, un’espressività che restituisce all’incanto la sua più nitida trasparenza e bellezza.
Una poetica fatta di immagini, di lampeggiamenti, di flashes che sono i requisiti essenziali di una ricerca emblematica fatta di luci e di ombre, ma sempre costante nella musicalità e nel turbamento esclusivamente semantico dei sensi. Ines Montanelli chiude in sé la memoria, gli scenari del suo racconto di vita, come un albatro racchiude il suo cielo, lo accarezza con le ali, ne fa orizzonte di silenzi e misticismo.
E vi compaiono nei versi episodiche vibrazioni, tenerezze, gioie immacolate e pure, vi si contrae in onde sonore e nostalgiche la giovinezza, il ricordo del padre, le memorie familiari, i giochi di un’età “fanciullina” che immortala i suoi episodi di luce, i suoi colloqui intimi con la natura e il mistero dell’oltre, profondamente intriso di panismo e religioso estetismo lirico, in una scansione di immagini e ritmi sempre allineati alla migliore poetica del Novecento, al linguismo dotto e smaliziato che sublima e commuove in un suasivo conforto originante spontaneo, ma divenente nel tempo sommesso e contemplativo, pure se rarefatto da una nostalgia di fondo che ha una sua struttura compositiva e armonica di rara bellezza. Molti elementi e fattori di stampo letterario si consolidano e si raccolgono in una suggestiva cornice intima, con quel nitore religioso e superiore di una fede salvifica che tutto assolve e che Ines Betta Montanelli ricerca nel più profondo dell’anima rimandando ai veri valori della vita, e indicandone i percorsi, attraverso una verticalità umana di religioso stupore.

NINNJ DI STEFANO BUSA'

giovedì 1 agosto 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALBERTO CAPPI

ALBERTO CAPPI – Poesie (1973 – 2006) FORMAT – puntoacapo – Novi Ligure (Al) – 2012 - pagg. 311 - € 20,00

Alberto Cappi nasce a Revere (MN) nel 1940, muore nel 2009, dopo lunga malattia. E’stato poeta, saggista e traduttore. Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede include le seguenti raccolte di poesie di Cappi: Alfabeto (Milano 1973), 7, (Torino, 1976), Mapa (Mantova, 1980), Per Versioni (Milano, 1984), Casa delle forme (Udine, 1992), Piccoli dei (Faenza, 1994), Il sereno untore, (Latina, 1997), Quaderno mantovano, (Mantova, 1999), Quattro canti, (Faenza, 2000), Visitazioni, (Ascoli Piceno, 2001), Libro di terra (Civitanova Marche, 2003), La casa del custode, (Bologna, 2004), La bontà animale, (Faenza, 2006). Cappi è un poeta dalla cifra originalissima, che ha attraversato ormai quattro decenni di vita poetica, compiendo un percorso coerente, esito alto di una forte coscienza letteraria, presente in lui fin dalla pubblicazione del primo libro di poesia intitolato Passo passo, (Firenze 1963). Con il passare degli anni, lo stile di Cappi ha avuto una forte evoluzione, risultato anche di un’assimilazione, da parte dell’autore, delle correnti poetiche che si sono sviluppate in Italia, e non solo in Italia, nel corso degli anni. Il poeta, negli anni Sessanta e Settanta, è stato influenzato da un certo sperimentalismo filosofico, attento al pensiero d’oltralpe. C’è stato un momento di passaggio, di mutamento nello stile e nella forma della poesia di questo autore: infatti Cappi ha prodotto, inizialmente, come dice Mauro Ferrari nello scritto intitolato Per Alberto Cappi, per la sua poesia, scritto inserito nel volume, una poesia dispersa e frammentaria sulla pagina, disseminata a livello di significante e opaca a livello di significato, poesia che, all’avvio degli anni Ottanta, si è illuminata, gradualmente, di una nuova trasparenza del dire, con un’urgenza di dare voce alla propria interiorità che si depositava sulla pagina in un verso minimale, ma mai minimalista, e musicalmente attentissimo, quasi ammantato di silenzio. Sono i versi composti nei due decenni a seguire, davvero sussurri di chi non grida una propria identità, ma punta su uno stile pacato come l’unico e forse ultimo modo di comunicare che possa dirsi davvero umano, ridando senso a quella parola tremenda che è “Io”, dietro la quale si avvertono sia un “Noi”, sa l’alterità di un “Voi”, che va ricondotto a una paziente condivisione, con amorevole Cura Il momento centrale dell’evoluzione dello stile di Cappi, attraverso il cambiamento della forma, avviene nel passaggio dalla raccolta Mapa, del 1980, ,al testo Per Versioni, pubblicato nel 1984; mentre fino a Mapa, la poetica di Alberto Cappi è vagamente sperimentale, pur essendo distante da quella del Gruppo ’63, con Per Versioni, la stessa poetica dell’autore approda a forme già più strutturate, a poesie, nella maggior parte dei casi brevissime e caratterizzate da venature filosofiche: è proprio la differenza della disposizione dei versi sulla pagina , il primo dato che balza agli occhi del lettore delle poesie nelle due fasi della produzione di Cappi: infatti, prima di Per Versioni, le poesie dell’autore sono costituite da sintagmi sparsi sul bianco de foglio in modo irregolare; inoltre si tratta di poesie prive di nessi logici chiari e distinti, anzi tendenti spesso all’alogico. A partire da Per Versioni, come si accennava, si assiste ad un processo di normalizzazione della forma, che consiste nell’uscire totalmente dagli sperimentalismi, con una produzione di testi molto concentrati e anche oscuri nei significati, caratterizzati da allitterazioni e assonanze frequenti. C’è comunque un denominatore comune che caratterizza i due momenti del percorso poetico di Cappi: questo punto in comune può essere individuato nella originalità di uno stile sempre controllatissimo e levigato, del tutto privo della minima traccia di liricità.

RAFFAELE PIAZZA --
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Da Per Versioni -

Nelle acque primeve

occhio polla
coppia culla
bocca bolla
nulla
la di dio
sillaba del do

L’emersione

sterco covo
sparo cavo
seme uovo
avo
da di ala
cantico del tuo

L’ordine

palmo doglia
pianto faglia
patto soglia
ciglia
la di era
titolo dell’ovo


Da La casa del custode


Il fuoco dei profeti

Tu sei la scheggia che ferisce il canto,
il graffio sulla roccia che acque
libera ai sogni. Il fiume ha la secca
tosse del fulmine e accende la sete
delle nubi.
Il Cane ha già morso le stelle, uggiola
ulula nelle trame dei venti. La pianura
è muro e suono che la voce inonda.
“Non ricordare. I giochi sono persi.
nel letto dei torrenti, la terra è scesa
in se stessa, ora abitate il cielo”.
Le navi partirono al mattino tra
il brivido dei pruni Uni e altri nel
lamento spensero i lupi della mente.
Tu infiamma la mia visione, sei
il fuoco dei veggenti.

RIVISTA = NUOVO CONTRAPPUNTO

NUOVO CONTRAPPUNTO - trimestrale di poesia - N° luglio - settembre 2013 -
Sommario :
Elio Andriuoli : Su una poesia di Li Po : Giocatori
Silvano Demarchi : Kurdi ; Gondola
Guido Zavanone : Salmo 82 ; Il principio e la fine
Giuseppe Rosato : Per un mattino che non m'ero sporto
Pietro Civitareale : Il falso cielo ; Oltre i vetri ; Congedo
Lucetta Frisa : Portovenere
Loris Maria Marchetti : D'ora innanzi ; Ecco cos'è l'amore ; Nevicata
Antonello Catani : La casadfi Wang Jung
Rita Muscardin : Il sorriso di un clown ; A mio padre.
Recensioni : a firma di Elio Andriuoli