lunedì 30 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = MENOTTI GALEOTTI

MENOTTI GALEOTTI : “Storie di strada” - Ed. Polistampa 2013 – pagg. 56 - € 6,00 –
Qualche volta anche un tiepido raggio di sole ravviva la speranza , nella quotidianità sempre pronta a strappare il sospiro , a divaricare le illusioni, a distruggere i desideri. Ecco che la poesia di Galeotti , carica di quel cromatico riflesso di emozioni che la distingue , offre il ritmo dei ricordi , offre il tratteggio incisivo delle memorie, a volte inaspettatamente emergenti , a volte radicate nelle figure familiari ormai lontane o addirittura assenti, a volte nelle figure umbratili della città. Lo sguardo ha il movimento profondo delle passioni assopite così che l’amore si affaccia timidamente nell’eco della speranza : “La mia vita è due storie/ d’amore – com’ero giovane / nella casa di fiori e alberi alti / dolci carezze desideri speranze …/ il viale saliva tra sassi e terra chiara / al mattino erano le voci bambine / nelle stanze sul poggio sereno. / Crescevano i frutti maturi / gli affetti trovarono strade diverse. / Un’altra storia, un altro tempo / sono altrove i luoghi dell’anima. / Ed ora vivo nel bene …/ con fogli di carta e pensieri attesi all’alba.” –Per la Clessidra ritorna il filo d’autunno e le ultime forze tentano un appoggio sicuro per emergere ancora nel bagliore grigio di un’attesa. Poesia rinchiusa nella melodia, per la tenerezza che propone pensose lontananze e preziosi scavi negli accenti della malinconia.
ANTONIO SPAGNUOLO -

domenica 29 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = RENZIA D'INCA'

RENZIA D’INCA' : “Bambina con draghi” – Biblioteca dei Leoni – 2013 – pagg. 64 - € 8,00 –
Lettura complessa per le poesie della D’Incà, che molto spesso assumono per la loro stesura l’aspetto dell’aforisma , nella concisa espressione dei versi, che si ricorrono inseguendo il tempo , i ricordi , i silenzi , le attese, le impazienze, il suono “liquefatto” ed “astratto”, gli spasimi di una riscoperta. Le sequenze di cinque “poemetti” : “Affioramenti”, “Mesmerismi”, “Ipossie binarie”, “Parricidi”, “Dell’incurabile curagione” hanno le armonie dell’incenso, che tutto avvolge nel profumo che diffonde , per una percezione del subconscio , manifestato e svelato nelle metafore che i frammenti riescono a rivelare. L’io si presenta in tutta la sua sospensione sulla scena, in una chiave universale che allontana la finzione per offrire la luminosità nella ricerca utopica dell’incantamento.Riemerge la madre , riemerge il padre , la fanciullezza , la bambola,l'incubo della malattia. Le immagini , ancorate al passato o partecipi del presente hanno i toni accorati della memoria e le passioni intersecate del presente. La rima , offerta a tratti , ha una sua propria identità, che riecheggia la tradizione , ma si radica nella sperimentazione , come piega della pulsione esistenziale, e nel tentativo irrisolto di un Credo che sfugge tra le mani imploranti.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 25 dicembre 2013

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

" 25/12/2013 "

Fiorevole il cielo
in tinta neutra ad
emergerne azzurro
nel sovrapporsi
di strati, pari a limbo
su di noi.
Essere per gioco
adolescenti.
Diventare bambini.
Non funzionano
poste e portinerie,
il cammino lo
facciamo festeggiando.
Buon Natale, amico
mio!!!! Buon Natale,
figlio, padre, madre,
di vita compagna.
Rigenerarsi nel rito
e non c’è guerra
e ce la potremo fare:
a scrivere ancora,
a gioire,
ad amare,
a pregare,
a tenderci verso
i responsi felici,
di una Madonna
sorridente
oltre il presepe.
**

DI SELENE - 2014 -

Sottesa a panni
di cielo veste
l’azzurro Selene
ragazza nel freddo
a rigenerarsi
nelle cellule
(ieri ha bevuto
ossigeno e amore
nuda nell’auto
al Parco Virgiliano
con l’amato
ricomponendosi
l’affresco).
Attimi rosatempo
tra orgasmi e
risate (tanto la sua
forza non mi lascia).
Pensa Selene in cerca
di altra gioia nel
filo d’erba afrodisiaco
nella pigna
portafortuna nel
nome una speranza
di preghiera duale.
Nelle durate, Selene,
non manca il vino
con Antonio
senza fare bambini.
**

A MIO FIGLIO---

Ti hanno visto
con una ragazza.
Hai 19 anni
contati come
semi per il
terreno buono.
Sei ancora il
neonato al nido
della clinica
dove sei nato
nella tutina verde,
speranza di padre.
Sei quello che
non parla e non
cammina.
Sei il duro che
guida veloce e
dice che la poesia
è inutile, che
conta il denaro
nella vita e hai
preso il diploma.
Ora studi chimica,
ma i sentimenti
non sono reazioni
tra elementi.
Vuoi il mio bene
oltre la chiave
per uscire dalla nebbia.
**
RAFFAELE PIAZZA -

martedì 24 dicembre 2013

POESIA = GIUSEPPE VETROMILE

"UN RIPOSTIGLIO nel miscuglio d’ombre e luci"
**
Un ripostiglio nel miscuglio d’ombre e luci
frastagliato dal riverbero lunare,
ove il tempo irreversibile dilata le fibre dell’anima
e la notte – sfumando nei silenzi del caseggiato –
si accapanna in uno scrigno di misteri
sfilacciando tessuti d’incubi dissuadenti:

vi rimescolo continuamente ostinatamente materia e poesia
richiudendo ogni volta l’uscio per l’ennesimo riposo.

E poi discendo verso l’abisso, il nulla scivoloso,
alla deriva sulla domanda solita bislacca
che nutre la vita e la speranza:
"chi come perché quando?…".

E’ in questa notte che mi sovviene nel mezzo dormire
l’immane cataclisma e gronda il cuore di piccoli profondi grovigli:
anima / non anima nel buio / luce dell’esterna meraviglia.

Si dilunga sempre il lamento in un interrogare muto le stelle.
Ed è ancora comunque speranza.

Ma questa vita non è solo giustizia o meraviglia:
è l’immagine costante d’un perenne trascinarsi
incastrati nell’orologio di Dio fino al tempo dei risorti,
quando il motore del mondo avrà placato il suo enorme abbrivio
e più non saremo che primordiale polvere d’amore celeste.
**
GIUSEPPE VETROMILE ---

domenica 22 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA LENTI

A.A.V.V.: "Dentro il mutamento", a cura di Maria Lenti-- Antologia Nuovi Fermenti Poesia--Fermenti Editrice, Roma, 2013, pagg. 153, € 18,00

"Dentro il mutamento" è un’altra delle numerose antologie poetiche edite dalla Fermenti Editrice, diretta da Velio Carratoni. Il volume antologico presenta l’introduzione, le notizie biografiche e le note critiche su ciascun autore incluso, a cura di Maria Lenti. La parola antologia, ha un’etimologia che deriva dal greco, da un termine che significa raccogliere fiori.
Questa definizione potrebbe avere un carattere riduttivo; tuttavia la curatrice coglie fiori di poesia, secondo un criterio preciso e sotteso ad una profonda coscienza letteraria. Scrive Maria Lenti, nell’introduzione ricca di acribia, di conoscere in gran parte i poeti e le poete di questa antologia, di essere in un “viaggio”, di avere “viaggiato” insieme dentro libri e tempi della vita e della poesia, di un tragitto di studio. Altri autori le sono stati suggeriti dall’editore. Sembra alla Lenti che, scrivendo di loro, scriva, ma non a specchio, delle ore che lavorano d’intorno incuneandolo in domanda e attesa.
Il titolo dell’opera "Dentro il mutamento" sta a significare l’avvertita sensazione della curatrice di essere testimone sensibile del continuo divenire della poesia contemporanea, della curva di un mutamento continuo delle modalità espressive dei poeti attuali italiani. Molto eterogenei tra loro sono i contributi che gli autori ci presentano; l’interpretazione di Maria Lenti della genesi dei versi degli autori presentati in questa sede, è quella, secondo la quale, gli stessi poeti vivono nei loro versi, non in funzione dello “sguardo” altrui, ma nei termini di uno “sguardo” gettato oltre se stessi.
Secondo la Lenti i poeti partono da sé per cogliere momenti e dinamiche di un vivere sciolto da finzioni, pervaso dalle contraddizioni di un tempo di presunte supponenti realizzazioni e un’età di mancamenti, anzi di arresto del passato possibile e di emersione di un diverso agire le situazioni, rinvenuto quasi quotidianamente, a lato di un sommovimento continuo. I poeti antologizzati, sembrano tutti percorrere da un capo all’altro, una trama di ricerca di un perché “Dentro il mutamento”, eterodiretto e non moto proprio, in corso.

La prima poeta antologizzata è la ventenne Valentina Busi, che esprime una poetica legata alla sua età in controtendenza, ridotta come intima fibra. L’autrice è nata a Brescia; suoi racconti hanno vinto alcuni concorsi e non ha mai pubblicato prima di questa silloge. La Busi ci presenta De rerum hysteria, Leggi dell’entropia.

Segue la silloge intitolata Effetti personali di Giancarlo Cecchini. L’autore è nato a Urbino nel 1946 e ha pubblicato varie raccolte di poesie. Cifra essenziale delle poesie di Cecchini, come scrive Gualtiero De Santi , è una sorta d’impressionismo raccontante e sonoro, introspettivo e pur anzi minuzioso nei riferimenti alle circostanze
Caterina Davinio è nata a Foggia nel 1957 e ha pubblicato numerose raccolte di poesia; come scrive Maria Lenti il titolo della raccolta Alieni in safari (Luce dall’inferno), potrebbe assumersi come chiasmo nell’inferno degli alieni, si dilata la luce del safari, dell’insolito che rischiara, dà vigore; cancella o sfuma in controsenso di solito irrespirabile.

Canzone di Narda Fattori è un poemetto composto da dieci sequenze numerate, nelle quali è forte la musicalità dei versi; l’autrice è nata è risiede a Gatteo (Fc); ha pubblicato numerose raccolte di poesia e ha vinto molti premi. Colpisce, in questa sequenza, una forte chiarezza, nei versi, quasi elementari, nei quali è presente una forte dose di ironia.

Maria Rosaria Lasio, altra autrice antologizzata, è nata a Serramarina (VS); ha pubblicato varie raccolte di poesia e collabora a diverse riviste letterarie. L’autrice ci presenta, in questa sede, la silloge Nominare le cose. In questa raccolta notiamo una forte dose di corporeità ed è costante la presenza di un “tu”, al quale la poeta si rivolge.

Giacomo Leronni è nato nel 1963 a Gioia Del Colle; ha pubblicato numerose raccolte di poesia e ha vinto diversi premi. In questo autore è presente una scrittura scattante, icastica e leggera. C’è una certa vaghezza nel versificare di Leronni in Nel sonno sacro dei bambini.

Luca Nicoletti è nato nel 1951 e vive e lavora a Riccione. Ha pubblicato numerose raccolte di poesie.. Ci presenta Comprensione del crepuscolo. Come scrive la curatrice, quella del nostro è una poesia dell’io e della complicità del paesaggio con i colori nativi come introiezione non arresi al solo ricordo dell’io avvolto, ma non impaniato nelle ondulazioni memoriali e nemmeno ingannato dalle curve del perdurante sentimento.

Leda Palma, friulana, è romana di adozione; ha pubblicato numerose raccolte di poesie, tra le quali Ingiurie e silenzi, 2009, per Fermenti Editrice. E’ presente in numerose antologie.
In Gocce d’oceano, la silloge che la poeta ci presenta, si possono dividere le poesie in due categorie, quelle descrittive e quelle che hanno al centro l’io poetante.

Paolo Polvani è nato nel 1991 a Barletta Ha pubblicato varie raccolte di poesie ed è presente in varie antologie. In La clarinettista della banda e altre poesie, la silloge che l’autore ci presenta in questa sede, si riscontrano chiarezza e narratività. Polvani adopera spesso versi lunghi, che hanno un’ottima tenuta. Assistiamo ad un variare dei temi detti dall’autore. Tutte le poesie, tranne due, sono divise in strofe.

L’ ultimo poeta ad essere antologizzato, secondo l’ordine alfabetico, è Giovanni Terzanelli, nato a Montreal in Canada nel 1972; attualmente l’autore vive a Bologna. Il nostro ci presenta una rassegna da Di ogni ultimo istante, costituita da undici sequenze complete che hanno, complessivamente, una certa valenza poematica. Si tratta di poesie scabre ed essenziali, prosciugate, che procedono per accumulo.


Raffaele Piazza

venerdì 20 dicembre 2013

RIVISTA = FERMENTI

Fermenti n. 240, anno XLII (2013)
Periodico a carattere culturale, informativo, d’attualità e costume
Fermenti Editrice – Roma – 2013 – pagg. 681 - € 26,00
Numero da collezione

La rivista “Fermenti” n.240 è composita e densa nei suoi contenuti e può essere sicuramente considerata storica, nel panorama italiano odierno, essendo iniziata la sua pubblicazione nel 1971.
Va sottolineato che il presente numero si definisce da collezione per la qualità e la complessità dei suoi argomenti, nonché per la sua estensione.
“Fermenti” è visualizzabile anche su Internet sul sito (www.rivistafermenti.it ) e su Facebook e Twitter.
Ha una periodicità quadrimestrale ed è diretta da Velio Carratoni, poeta, narratore, critico letterario, giornalista, editore, nonché fondatore della rassegna.
E’ da notare che Fermenti è pubblicata con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma, diretta dallo stesso Carratoni, istituzione che ha in catalogo testi di autori europei e internazionali (www.fondazionepiazzolla.it).
Nel panorama italiano odierno delle riviste letterarie e d’arte cartacee, “Fermenti” è una delle più longeve e ora è disponibile anche in PDF
Numerosi,, tra i più importanti poeti, critici narratori e artisti, hanno pubblicato, nel corso del tempo, su “Fermenti” e l’inserimento nei vari numeri dei nomi di Giacinto Spagnoletti, Antonio Spagnuolo, Dario Bellezza, Gualtiero De Santi, Donato Di Stasi, Flavio Ermini, Lucio Zinna, Giorgio Barberi Squarotti, Maria Lenti, Gemma Forti, Mario Lunetta, Domenico Cara, Umberto Piersanti, Valentino Zeichen, Franco Buffoni. Stefano Lanuzza, Marcello Carlino, fino a Velio Carratoni, dimostra l’efficace riuscita di questo metodo.
Ritroviamo un’analisi sulla situazione della critica letteraria oggi in Italia di Tiziano Salari, Poesia e filosofia alla fine della tradizione occidentale; per la saggistica da segnalare il saggio di Gualtiero De Santi, Una vita violenta in galiziano, l’articolo di Francesca Medaglia, Lo zar non è morto: la scrittura a più mani del futurismo, Mi piace rimare di Luana Salvarani, Il tempo del Nord di Vincenzo Guarracino, Visioni del cantare ciclico di Giovanni Fontana, Emilio Coco: la poesia umile di Canio Mancuso, L’avanguardia degli anni sessanta. Tanto rumore per invocare il silenzio di Velio Carratoni, Quando la “commemorazione” non è rimozione di Antonino Contiliano, Esprimersi da femmine per collegarsi con il mondo di Velio Carratoni.
Dense le rubriche di cinema (Giuseppe Panella, Sarah Panatta e Lapo Gresleri), teatro (Luca Succhiarelli), sulle recensioni, sulla poesia, sulla narrativa, sull’arte.
Pregevoli gli scritti di Gualberto Alvino nella sezione “Bloc Notes”, che hanno per oggetto autori dell’altra letteratura, esaminati con notevole acribia e in modo originalissimo
I nomi presi in considerazione dal nostro sono quelli di Giovanni Nencioni, Alessandro Baricco, Giovanni Fontana, Nicola Bultrini, Salvatore Claudio Sgroi, Sandro Sinigaglia, Edoardo Albinati, Angelo R. Pupino, Arnaldo Colasanti, Gianfranco Contini, Giovanni Tesio, ecc.
Molto acuta l’analisi compiuta da Alvino, che si basa unicamente sull’aspetto testuale, il titolo, la storia della scrittura.
Completa la panoramica sui materiali video e audio presenti sul sito di “Fermenti Editrice”, che hanno per oggetto presentazioni e interventi critici su poeti e narratori novecenteschi.
Elevata la pregnanza delle parti di poesia e narrativa.
In Anteprima, che apre il numero, leggiamo il saggio del poeta e critico Flavio Ermini, intitolato Il deserto e il mare in tempesta.
In Narrativa i seguenti racconti: Gli asini di Giuseppe Neri, Nancy lo sa di Gemma Forti, La ferita di Enzo Villani, La figlia del vicino di letto di Velio Carratoni, Un drappo giallo di Ignazio Apolloni, A. di Silvia Pascal.
In Poesia, Legoluongo (di Bruno Conte), L’eterno viaggio della poesia in Umberto Piersanti (di Chiara Maranzana), con poesie di Umberto Piersanti, Ballate del lume oscuro (di Roberto Rosi Precerutti), @pontifex (di Gualberto Alvino), Tra massi erratici (di Marco Caporali), Cantico di stasi (2011-2013) (di Marina Pizzi), Affiorano dovunque (di Marco Furia), Gli anni 2000 (di Maria Pia Argentieri), Il rabdomante (di Italo Scotti), Roma/Sorrentino (di Velio Carratoni), L’albero rosa di Flebo (di Luca Succhiarelli), Poemetto su famiglia italiana/marzo 2013 (di Raffaele Piazza).
In Bibliosound di Gemma Forti, numerose recensioni; tra queste quelle a Marina Cvetaeva Scusate l’amor,e, 2013, poesie 1915-1925.
In Biblio/caravan di Velio Carratoni, molte recensioni su svariati argomenti.
Si evince, da quanto affermato, la vastità dei materiali artistici e critici presenti in “Fermenti”, tutti connotati da elevata qualità, elemento che, nell’ambito letterario italiano, ne fa un caso unico.
La scansione finale della rivista contiene, tra l’altro, interventi dedicati alla suddetta Fondazione, sotto il titolo globale Ci stiamo abituando all’inferno (a proposito degli atti dei convegni per il Centenario): Turbamenti di illusoria attesa ed egemoni menti di Domenico Cara, “Assoluto” e “Regno della Presenza” nella poesia di Marino Piazzolla, di Emiliano Alessandroni, Un difficile rapporto con il mondo reale, di Lucio Zinna, Hudemata, la prima parola di Canio Mancuso; due poesie, L’urlo/ Forse è il nostro assassino di Marino Piazzolla, Marino Piazzolla a Radio France Culture (1978, terza parte), Il senso del limite, Su A. Delfini a cinquant’anni dalla morte, Presentazione Rivista “Fermenti” n. 239, Volumi pubblicati con il contributo della Fondazione Piazzolla, Audio e video pubblicati sul sito www.fondazionemarinopiazzolla.it .
La Fondazione Piazzolla, associazione di carattere culturale, in Italia, con le sue molteplici attività, è di sicuro una delle più importanti ed efficienti, tra quelle che hanno per referente il nome di un poeta.

Raffaele Piazza



SEGNALAZIONE VOLUMI = LAURA BULLERI

LAURA BULLERI : “Argilla azzurra” – Edizione Polistampa – 2013 – pagg.80 - € 7,00- (prefazione di Franco Manescalchi)
La vitalità che inonda i versi di questo diario poetico si esprime con il senso policromatico del ritmo , a volte in fermento fra i tratti rapidi della scrittura. Le figure si agganciano quasi sempre alle relazioni quotidiane , agli eventi che arricchiscono e che hanno segnato una vita , una vita nella nuda catarsi , nel barlume di sentieri narrativi in gioco tra il dolore e le fascinazioni. “Ognuno ha qualcosa di puro / nascosto / protetto da abiti alla moda / da distacco formale / da sorrisi e tristezze./ Ognuno ha qualcosa di puro / sotto l’asfalto grigio / sporco / Ognuno ha qualcosa di puro / in questa città assolata / abbandonata dai visionari/ che tardano a comparire con parole d’amore.” Così anche l’amore, che sfiora nei suoi tratti la passione o la rinuncia, riscopre le fiamme intime della libertà , o le incognite sorridenti della maternità. Gli incontri rubano con abilità sguardi e giochi di fantasia per ricondurre il linguaggio alle esperienze della maturità preziosa. Molti i richiami che tentano di pulsare per incidere immagini, in cifre dal valore memoriale innescato a tratti nelle varianti dell’inconscio.
ANTONIO SPAGNUOLO -

mercoledì 18 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = SIMONE MORANO

SIMONE MORANO: “Hai perso una goccia” -Fermenti Editrice, Roma, 2013, pagg. 79, €12,00
Simone Morano è nato a Seregno, in Brianza, nel 1987; “Hai perso una goccia” è il suo primo libro.
Il testo presenta un’articolazione interna e una struttura architettonica, sottese ad una già matura coscienza letteraria ed è scandito nelle seguenti sezioni: “La reputazione dell’amore”, “Incroci nell’aria”, “A ridosso”, “Tra argento e cotone”, “L’impero delle briciole”, “A chi corre sui cristalli”, “Il suo cognome”.
Il primo dato, che emerge dalla lettura di questo libro, comune denominatore per tutte le sezioni, è quello della diseguaglianza della lunghezza dei versi: infatti, in ogni singola composizione, si alternano segmenti brevi o brevissimi con altri lunghi e di media estensione.
Quanto suddetto crea nell’ordine del discorso, attraverso un ritmo interno e sincopato, in ogni poesia, un senso di musicalità del verso, un’armonia e anche una malia intrinseche, che sono alcune delle caratteristiche della poetica dell’autore.
La sezione iniziale può essere letta come il canzoniere di una travagliata e sofferta storia d’amore; in “La reputazione dell’amore”, in quasi tutte le poesie, l’io poetante si rivolge ad un tu femminile, la ragazza amata, con un tipo di espressioni fatte spesso di reticenza e timore, con la stabile paura di non essere riamato.
Intenso il gioco psicologico messo in scena dalla voce del poeta, che ha come etimo il desiderio struggente di essere ricambiato nei suoi sentimenti, per cui, attraverso la parola, adopera tutte le strategie per realizzare al meglio la sua capacità di amare.
La donna sembra, fin dall’incipit della prima poesia, sfuggente e quasi crudele nei riguardi del suo amante:-“/Solo perché non dormiamo insieme da sette anni/ non sei autorizzato a volermi bene/.”
Si tratta di versi intensi e spietati che mettono in gioco tematiche riguardanti quello che ci può essere di doloroso nei rapporti di coppia.
Eros e pathos si rincorrono come motivi fondamentali in questa prima parte del libro, che, a tratti, per l’accentuarsi della sofferenza del poeta, tocca toni struggenti.
La donna detta da Morano pare altera e distaccata, insensibile agli slanci dell’amante.
Lo stile della raccolta è scattante, nervoso e icastico e l’autore riesce a creare un senso di magia e sospensione in tutte le composizioni del libro.
Cifra essenziale pare essere quella di una scrittura avvertita, scabra ed essenziale, connotata da un certa inquietudine interna, che risulta ben controllata.
Poesia antilirica, quella del nostro, che, nella sezione “Incroci dell’aria”, assume toni visionari e magmatici e diviene persino anarchica nella disposizione delle parole sulla pagina.
Qui l’io-poetante è molto autocentrato ed è presente una forte densità metaforica e sinestesica.
Quella di Morano è una poesia che a volte sfiora l’alogicità, seguendo una linea che tende all’oscuro, senza essere per niente solo un frutto disordinato dell’inconscio.
Nonostante la giovane età, il poeta può considerarsi abile nel comporre il suo tessuto linguistico e, inoltre, la sua poetica è caratterizzata, a livello formale, da una certa originalità.
Nella poesia eponima, situata nella sezione “Incroci dell’aria”, l’autore adopera un procedimento anaforico, ripetendo iterativamente il verso Sussurra l’uomo con le spalle larghe; quello che il protagonista afferma a bassa voce pare che non segua un filo compiuto e coerente dal punto di vista razionale, come quando si chiede perché gli assassini non possono sorridere o nei versi in cui afferma che spettinato carezzava le strade in bicicletta e saliva sui pinnacoli del tempo.
Spesso è presente nelle poesie del nostro un tono sognante, che si coniuga ad un senso di onirismo purgatoriale, in una vena di forte surrealismo.
Nella poesia suddetta è presente fortissimamente il tema del male (/”/Lo proteggevo/ dal raggio che ammazza il male//”); inoltre vengono detti gli assassini sorridenti.
Un versificare dai contenuti sofferti, quello del poeta di Seregno, che, qualsiasi delle tante tematiche affronti, è sempre umbratile e pervaso da una grande inquietudine.
In alcuni componimenti della raccolta c’è anche un “tu” maschile, al quale si rivolge l’io-poetante, una figura che resta indefinita.
La scrittura procede in modo fluviale e irruento; a tratti i versi sono scabri ed essenziali e tutte le poesie sono ben risolte in una sola strofa.
Un esordio sorprendente, quello del giovane autore, che conferma quanto possa essere ancora la poesia strumento di bellezza e di conoscenza, attraverso messaggi in bottiglia, nel nostro postmoderno occidentale, che vincono l’afasia e l’incomunicabilità, sfatando del tutto la fine della poesia, annunciata erroneamente dopo la seconda guerra mondiale, quando Paul Celan scrisse “Di soglia in soglia”.


RAFFAELE PIAZZA ---
*
"Carta e nome di fiore"

Solo perché dormiamo insieme da sette anni
non sei autorizzato a volermi bene
Ti ho trovato in ritardo
all’uscita di Missori
con un serpente di nei sul collo
che non sapevo.

Mi tengo in mano
e applaudo
T’ho sorpreso
sdraiato nei trifogli
accettando le tue regole sui baci.
Ruotare sui propri secondi
di tesori palpati
M’hai trovato a guardarti
stupito e ingenuo
a pagare il fio con i cuori di prima.
Da qualche parte dondola una virtù
su rime ondulate
M’hai sorpreso
che tu sia custode
di tanta poesia inconfessata.


martedì 17 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCA BUONAGUIDI

LUCA BUONAGUIDI: “I giorni del vino e delle rose” - Fermenti, 2013, pagg. 65, € 12,00---
"I giorni del vino e delle rose" è una raccolta di poesie che non presenta scansioni e che, anche per questo, ha una valenza poematica. Quella di Buonaguidi è una poetica che ha, come cifra dominante la chiarezza, raggiunta attraverso uno stile fortemente narrativo. Il primo componimento, intitolato L’amore del mio respiro presenta anche un tema etico; in esso c’è un voi al quale il poeta si rivolge. Le poesie sono in gran parte verticali, fluide, scattanti e leggere e, in esse, non manca, spesso, un tono intimista; si avverte il tentativo della ricerca di un senso profondo della vita, da parte dell’io-poetante; in I giorni del vino e delle rose incontriamo una forte densità metaforica, sinestesica e semantica a partire dall’incipit di L’amore del mio respiro:-“Non riesco a scivolare/ lungo il percorso/ che mi avete preparato,/ non conosco il significato/ di questa mia estasi d’amore/ e non chiedetemi/ di abbassare lo sguardo/ e camminare diritto sotto il sole…/”; del voi al quale il poeta si rivolge, ogni riferimento resta taciuto, sappiamo solo che il voi ha preparato un percorso per l’io-poetante e tutto resta pervaso da una vaga bellezza; in queste poesie l’autore afferma che tra queste entità, alle quali il poeta si rivolge, serpeggia l’odio e che tanti altri volevano solo amarle e tanti altri solo salvarle: tutto resta imbevuto di mistero. In questo testo l’io poetante è molto autocentrato e viene espressa una poetica che si realizza per mezzo di una riflessione introspettiva. In Assenza si riscontra la tematica della poesia nella poesia:- “Assenza,/ cosparsa di silenzio/ che si veste in verso/ fragile come pallido sole d’orizzonte/ dopo la prima pioggia autunnale/-“; qui pare che venga affrontata poeticamente la tematica della dialettica tra detto e non detto. In "Sono povero, luna" riscontriamo un forte tono lirico, nella tensione dell’io-poetante di interanimarsi con la luna alla quale si rivolge chiamandola amica suprema musa, in un modo che ricorda Leopardi.; nella raccolta riscontriamo una poetica essenzialmente antilirica, che presenta una vena fortemente intellettualistica. A volte il discorso, nelle poesie, è sotteso a un tu, al quale il poeta si rivolge con toni accorati e leggermente sensuali che ricordano vagamente Neruda:-“L’incanto celato/ nei tuoi occhi/ un sorso corto/ di acqua fresca/ dopo una lunga sete/ d’amore e compassione/-“; sono molto belle queste immagini, tratte dal componimento L’autostrada greca; la donna amata è qui calata in un contesto naturalistico e particolarmente riuscita è la similitudine tra gli occhi della donna e l’acqua fresca, che dà al contesto amoroso un tono soave e intrigante. Tutto, in I giorni del vino e delle rose, sembra essere sotteso a una ricerca della propria dimensione nell’hic et nunc della vita come in La mia casa non esiste, nella quale il poeta afferma che la sua casa è altrove ed è una terra di nessuno, un viaggio lontano; in questa poesia si parla anche della selva oscura dantesca, dalla quale, presumibilmente, uscire tramite il medium della poesia stessa; vengono dette anche le filosofie orientali che, per tanti sono, nel nostro postmoderno occidentale, un mezzo per uscire dal mare magnum della quotidianità liquida e caotica. Un testo originale, quello di Buonaguidi, che si sviluppa nella tensione salvifica di uscire da se stessi e rapportarsi positivamente con l’alterità, che sia un tu, un voi, la stessa società o la natura; viene affrontata la tematica del viaggio, che è la vita stessa, con i suoi dolori e le sue gioie. I versi sono leggeri e icastici, ben controllati e, in essi, la forte componente di dolore è dominata; in una condizione esistenziale difficile il poeta trova, tramite l’urgenza del dire le cose, un varco, una salvezza, senza mai gemersi addosso: la vita ha tante contraddizioni: ci sono il male, l’incomprensione, la solitudine e l’afasia e solo la poesia dei giorni del vino e delle cose, può costituire un valido antidoto al lacerante dolore esistenziale, che è il triste scenario in cui viviamo, una terra desolata, per dirla con T. S. Eliot, nella quale, comunque esiste la consolazione piacevole delle stesse rose e dello stesso vino, che divengono simboli per redenzioni e una possibile felicità. C’è anche il senso di un forte rimpianto, come nella poesia eponima, nella quale viene detto un cuore inerte e tremante, come furono le mani attorno al corpo dell’amata nei giorni belli, quelli, appunto, del vino e delle rose; furono giorni perduti, giorni armai appassiti, che non torneranno mai più; nonostante la giovane età (è nato nel 1987), in questa raccolta Buonaguidi dimostra una certa maturità espressiva e ci aspettiamo da lui le opere successive, dopo questa raccolta, che segna il suo esordio letterario. Nella prefazione Girolamo De Simone, afferma di essere stato colpito subito, in quelle stringhe profonde, dal gioco delle ricorrenze: silenzio/solitudine, viaggio/ricerca, amore infinito/dolcezza. Tra queste forme/motivo deleuziane, una sicuramente ci accomuna: l’ostinata propensione a mantenere viva la memoria. E’ gioco facile richiamare la memoria, ma non sempre risulta così semplice farlo quando essa è davvero inconciliata, quando precocemente si è provato a cancellarla, rimuovendo esistenze incomparabili. Una ricerca per giungere ad una consapevolezza e a una catarsi, quella del giovane poeta, nella quale non manca, nonostante tutto, una speranza, una possibilità di uscire dalle spire di un dolore connaturato all’esistere e all’esserci nel mondo.
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RAFFAELE PIAZZA ---
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Carpirò la poesia

Carpirò la poesia
per spargerla in strada
come gelsomini
raccolti in mani
di fanciullo.
Inviterò il cielo
ad affrescare le parole
e poiché del cuore
è esaurita la miniera
chiederò lacrime
al monte dei pegni
dei miei aridi occhi
dove risorgerà
lungo un aureo gradino
la beltà del mio respiro.

-

Nella vile folla di vite

Covare solitudini
sgusciando via
in strade affollate,
elemosinando spiccioli di vita,
i pugni in tasca
stringono l’inconsistenza
dei miei giorni.
Chi accenna un sorriso sincero,
che nasconde
chissà quale pensiero,
che sfoga la noia
in passi stanchi e forzati,
chi osserva i bambini.
Stringo il notturno
mio vagobondaggio
come una femmina
nella vile folla di vite
che nascono morbide e candide
e finiscono dure e fredde,
come la pietra di una lapide.

domenica 15 dicembre 2013

NOTE DI LETTURA = GIUSEPPINA RANDO

Nota di lettura “Il senso della possibilità” –di Antonio Spagnuolo

Leggere “Il senso della possibilità” di Antonio Spagnuolo è come immergersi nella immensa varietà della vita e della realtà delle cose : un multiforme percorso memoriale che fa rivivere volti, momenti, particolari di un passato che ritorna nel divenire, nella temporalità come “possibilità”.
Possibilità di “essere” o possibilità del ”nulla” ?
Al dubbio, s’accompagna, quasi implicitamente, la certezza del “dire poetico” che svela gli strati più profondi del “sentire “, dello struggimento.
Andirivieni tra qui e l’oltre…”Ora strappi le frange della febbre/ tra corde irraggiungibili e l’arsura/dei ricordi, malinconie / condotte tra i miei giorni incompiuti…
…Le immagini dei flutti gonfi di sabbia / sono fruste dell’altrove / trasformate nello sfolgorio che illude,/ per quel che fummo nel polline, / ora cometa da rincorrere odiare".
Sembra un immedesimarsi con il divenire : “dicendo” l’interezza della vita, la sua precarietà, il suo mistero, Antonio Spagnuolo supera ogni “finitudine “, ogni limite, spinto da una straordinaria forza creativa e libertà .
La sensibilità e fantasia del poeta annoda fili sottili e diversi della propria memoria in un tessuto chiaro e compatto, ricompone “il tempo che si sfalda”,” la realtà che evapora “ e come in una “sinfonia” offre nuova orchestrazione del mondo tramite le piste del ricordo, ma anche grazie al desiderio di superare l’angoscia che segue …”il fermento dell’eterno / al confine dei nostri frantumi.”
Il senso della possibilità offre, dunque, al lettore attento una volatile quanto coinvolgente ” materia dell’esistere” dominata dal sinuoso divenire e trasfigurata dal Logos poetico.
GIUSEPPINA RANDO ---

PREMIO DI POESIA = TULLIOLA

L’Associazione culturale “TULLIOLA", premiata per le meritorie finalità perseguite con una medaglia del Presidente della Repubblica, bandisce il concorso della XXII edizione del Premio internazionale “Tulliola”, che comprende 5 sezioni: Premio di Poesia “Renato Filippelli” per la Poesia edita; Premio della Legalità; Opere edite o inedite (comprese monografie, saggi, articoli giornalistici) dedicate alla poesia di Renato Filippelli; Romanzo edito; Saggistica edita.
Non è richiesta tassa di lettura per nessuna delle sezioni, per ognuna delle quali occorre inviare 8 volumi. Le opere dovranno pervenire entro e non oltre il 14 febbraio 2014 presso: Carmen Moscariello, via Paone S. Remigio, 04023 Formia (LT).
All'interno di ogni singolo libro o articolo giornalistico inviato devono essere indicati tutti i dati del partecipante, compreso numero telefonico o indirizzo mail. Si prega di allegare anche una dichiarazione scritta e firmata con cui si autorizza la pubblicazione del proprio nome in caso di vincita o di segnalazione. Per informazioni: tel. 320/8597966 mail: carmen.moscariello@yahoo.it, barbara.vellucci@libero.it.
La cerimonia di consegna dei riconoscimenti si terrà martedì 20 maggio 2014 alle ore 16,30 al Castello Miramare di Formia (LT).

SEGNALAZIONE VOLUMI = MAURIZIO BASILI

MAURIZIO BASILI: “Le occasioni v’hanno create” - Fermenti Editrice, Roma, 2013, pagg. 91, € 12,00

Maurizio Basili è nato nel 1980; in “Le occasioni v’hanno trovate”, nella nota intitolata “ L’autore”, incontriamo diversi contributi del padre, della madre dei fratelli e degli amici del poeta, che ne parlano con simpatia e affetto, riconoscendone le qualità umane, prescindendo, quasi totalmente, dalla sua fisionomia d’artista.
Come scrive Osvaldo Avallone, direttore della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, nella prefazione ricca di acribia, già dal titolo della sua antologia poetica, l’autore realizza un gioco di parole che sottende il rapporto spesso ambiguo tra il fluire dell’esistenza e la vita dell’individuo.
Le occasioni escono dalla loro dimensione contingente, per acquistare una valenza fatalistica, come se l’uomo oscillasse tra un destino che non si decide a compiersi e il suo “quisque artifex”, che non trova “l’occasione” per esprimersi.
Di qui il relativismo, la precarietà dell’esistenza, ma anche dei sentimenti e delle sensazioni, alla ricerca di quell’ubi consistam, che rappresenta l’esaltazione e la dannazione dell’uomo fin dai primordi.
“Le occasioni v’hanno create” è una raccolta non scandita; la poetica che Basili ci presenta è del tutto antilirica e, complessivamente, il suo discorso si basa su una ricerca di tipo filosofico e psicologico, sullo scavo dei motivi fondanti della vita e delle sue sfaccettature connesse all’interiorità e all’introspezione (non a caso uno dei componimenti è intitolato Psicopoesia).
Uno dei temi fondamentali della raccolta è quello del dolore dell’esistere, una vera ricognizione dell’angoscia, condotta con ironia spesso molto amara.
Molto spesso ci troviamo in presenza di rime baciate nei componimenti, che ne accentuano il senso di una garbata musicalità.
Attraverso la lettura delle composizioni, nelle quali, spesso, l’io-poetante si rivolge ad un tu, possiamo affermare che, cifra essenziale della poetica di Basili, sia la sua ricerca di un’identità, portata a compimento da un io lacerato e scisso, nel suo scontrarsi con il suo difficile esserci nel mondo, con la realtà esterna che molto spesso è ostile e controversa.
Non a caso, riguardo a quanto suddetto, in “Matto” il poeta afferma di essere un povero folle che ogni tanto allo specchio vede riflesso un pappamolle.
La forma dei componimenti è icastica e controllata ed è caratterizzata da una forte chiarezza del dettato.
Uno dei temi principali in “ Le occasioni v’hanno create”è quello amoroso e il poeta si rivolge spesso, carico di sensuale passione, ad un tu femminile come in “Te tornerò ad amare”, una delle poche poesie ottimiste, nella quale viene detto un amore che si ricompone dopo un periodo di abbandono e di stasi.
Leggendo la raccolta ci troviamo di fronte ad un’eterogeneità di temi: è evidente soprattutto il realizzarsi della descrizione del disagio psicologico, come nella già citata Psicopoesia, quando viene detta la condizione del poeta che è caduto in depressione.
In questo componimento il protagonista, su consiglio dei cari genitori, va da uno psichiatra, che gli prescrive una pillola, uno psicofarmaco, per uscire dal tunnel plumbeo nel quale è caduto.
La composizione presenta un ritmo martellante e incalzante per le rime baciate ed è anche piacevole e graziosa alla lettura, modulando in se stessa toni diversi.
Connesso al tema della depressione incontriamo quello della libertà, ottenuta attraverso l’assunzione del farmaco, che rappresenta una vera salvezza, dopo un periodo di crisi.
In un primo momento, il poeta dice, con urgenza, di aver trovato, tramite la pasticca, la tanta desiderata libertà, attraverso il suo benefico effetto; poi, nell’ultima strofa, l’io-poetante afferma di avere perso la stessa libertà (c’è da notare che questa parola viene scritta sulla pagina in maiuscolo e ciò accentua un forte senso di ridondanza).
La poetica di Basili sembra essere depositaria della profondità della psicologia dell’autore, che, secondo il titolo, in ogni componimento, descrive un’occasione della sua vita.
E’ una linea, quella seguita dal nostro, che, ad un livello superficiale di lettura, potrebbe considerarsi quasi elementare o improntata ad una fortissima chiarezza.
Invece il poeta, pur usando uno stile sotteso ad uno scarso scarto dalla lingua standard, costruisce una poetica densa di significati, nella quale pochissimi sono gli oggetti o gli elementi naturalistici, praticando una scrittura in cui tutto è basato sull’indagine degli stati psicologici e dei sentimenti, sulle strategie per affrontare quello che Cesare Pavese chiamava “ Il mestiere di vivere”.
Un esercizio di conoscenza tout-court, questa raccolta, in un panorama, come quello attuale, dominato da sperimentalismi e neolirismi.
C’è da mettere in evidenza che Basili, a volte, mette sulla pagina una scrittura che, per la struttura del suo ordine del discorso, sembra rifarsi, in qualche modo, ai modelli della stagione futurista del Novecento italiano.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = MIRIAM LUIGIA BINDA

Miriam Luigia Binda: GUERRANIMA. Edizioni Elicon. Arezzo. 2013. Pp. 98. € 11


“Spazi misurati per un’anima volta a miraggi per i quali sono stretti perfino
gli orizzonti degli Oceani”
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Pensiero d’amicizia

“Se morisse il pensiero mio di te
il ceppo robusto
lasciato nel sordido camino
sfinirebbe di cenere
ed il vento porterebbe con sé
ogni plauso di calore
ogni petalo dischiuso
guizzante dalla luce.
Amico mio,
la nostra amicizia
passa l'oscurità.
È una fiaccola accesa
nel'indifferenza del mondo!”

Questa poetessa è qui. In questi palpiti di vita, in questi abbrivi di silenzi, in questi sobbalzi interiori, di cui è capace soltanto un cuore generoso e procace, tenero come un passero, ma capace di volare con ali forti e robuste, con ali aquiline per sfiorare cieli tanto ampi quanto i sogni degli umani. È qui, a sfiorare con parole impossibili l’amore. A fare di un’amicizia “una fiaccola accesa/ nell’indifferenza del mondo”. Quanto sentimento, quanti traslati per dire subbugli tanto esplosivi, tanto delicatamente accennati, annuiti! C’è qui, anche, la grandezza della poesia, il desanctisiano equilibrio fra i patemi dell’essere e il corpo dei verbi. Un vero esempio di canto elevato al sentimento più nobile, a quel sentimento che più si avvicina all’azzurro.
Mi piace esordire con questa citazione testuale, perché molto indicativa ad esemplificare il tema centrale, il leit motiv della silloge. Il sentimento, la passione, l’amore; e per amore intendo quello totale, plurale, per l’amicizia, per la natura, per l’uomo, per il mondo, per la pace, per il tutto. Ed è questo sentimento che permea di sé, come una melodia sotterranea, il dipanarsi dei 34 canti di Guerranima. Silloge complessa e articolata che, divisa in due sezioni: Divergenze connesse, Dove vanno le ragazze…, si sviluppa su un ordito versificatorio libero e movimentato, arrivante e suasivo, ma pur sempre mantenuto su un livello fonico-lessicale di alto spessore. Dispiegato su ondulazioni espressive di grande portata poetica. Di grande vocazione metaforica. Di grande compattezza formale. Guerranima. Titolo, suggestivo, di un’attualità feroce e storicamente avvilente: “(…) Crepuscolo: il Mullah suona/ il Rebad del martirio/ tra le case, la stretta porta/ nasconde i fucili di contrabbando./ Sulla strada è un pianto,/ma l’aquilone ha il tuo cuore/ bambino mio/..../ Sapessi ho volato con te/ tra le sacre montagne ad est dell’Indo (…)” (Guerranima).
E questo non è amore? Amore per la pace, per la vita, per la fanciullezza spersa e non vissuta. Io credo che, per discutere della poetica di un autore, occorra, prima di tutto, conoscerne la personalità, i gusti, gli slanci emotivi, le riflessioni morali, gli intendimenti sociali; insomma la persona a tutto tondo. Ed io conosco Miriam Binda. Non tanto per una frequenza fisica – l’ho incontrata solo una volta ad un Premio Letterario, dove abbiamo parlato abbastanza a lungo – quanto per quella virtuale. La conosco per la sua collaborazione, frequente e assidua, al mio blog, con i suoi ripetuti interventi critici; per la pubblicazione di sue poesie, da cui trapelano, più o meno chiaramente, quegli intendimenti che sono alla base della sua poetica; per avere stilato una recensione a due sue pubblicazioni; ma la conosco, soprattutto, per le diverse e-mail che ci siamo scambiati su molteplici argomenti riguardanti la vita, la società, gli accadimenti, la natura, la scuola, il mondo dei giovani, l’arte, la pedagogia, la filosofia (lei filosofo), la letteratura, e i tanti perché dell’esserci e del caso del nostro esistere. Conosco il suo impegno, la sua disponibilità a discussioni di ampio respiro culturale, la sua passione per musei e conferenze; conosco i suoi principi fondanti, i suoi solidi intendimenti morali. Ma quello che mi ha conquistato della sua personalità è la visione che nutre della poesia: espressione a tutto tondo; il suo mondo è affascinante per cifra stilistica, per eccessi di passione, per voli oltre i limiti, per invenzioni di spazi tutti suoi, dove possa amare, sognare, arricchirsi per donare. Sì!, per donare il suo patrimonio interiore al canto; lei è capace di trarre da un fremito di vita un input creativo di grande impatto emozionale; lei è capace di abbandonare l’anima in fremiti di fronde, in asoli di fiume, in sangue di maree per farla rincasare arricchita di suoni colorati, di parvenze melodiose: “(…) Voglio tenerti con me/ sangue di maree/ in rapsodie di lave/ tra i fili delle erbe/ la corrente è cenere/ nell’aroma dell’acqua/ così blu// ritorno… a vivere/ in questo mare” (Sangue di maree); “(…) Ancora un po’, resto a guardarti/così bella, nei flutti delle nuvole,/ primavera, sorella delle rose,/ la tenerezza delle viole,/ compassionevoli,/ abbassano la testa/ al sorriso del sole (…)” (A casa). E tutto è esplosivo; tutto è impossibilmente possibile; tutto è profumo di gentilezza, romanza di colori, canto di cospirazioni paniche. Qui la natura è confidente, prende per mano la poetessa e la porta con sé a gironzolare fra i suoi misteri. Ed è con quei misteri, fattisi abbrivi di una storia, che Miriam Binda dà corpo alle sue sensazioni, alle sue deflagranti commozioni. E nella sua poesia c’è tutto questo. La sua persona, il suo mondo, la sua generosità; c’è la vita, totale, piena, con tutte le sue problematiche esistenziali, umane, con tutto il senso della precarietà, del consumarsi frettoloso e fugace; ma, soprattutto, ciò che della vita può tradursi in Bello, in arte, ciò che può essere musicato in parola; c’è, insomma, tutta la curiosità e tutta la vitalità di un essere che la vuole vivere, questa vita, e la vuole ri/vivere, anche, nelle sue minuzie, ex abundantia cordis. La vuole capire, sentire sua, e magari farsi anche dominare da tutti i suoi impareggiabili momenti di metaforica allusione, di infinita bellezza, di compensazione al nostro essere. Mi scrive, ad esempio, in una delle ultime e-mail, che le tragedie che la affliggono maggiormente sono quelle che colpiscono i più deboli, i bambini; ma alla tristezza delle calamità naturali, o belliche, sa alternare, con una sconcertante duttilità, un abbandono quasi mistico ai quadri paesistici del suo ambiente; e passa, con estrema facilità, da sensazioni di abbandono, a interessi per le tecnologie più disparate, in un confronto con usi passati, ma non dimenticati: “Alcuni anni fa si doveva tirare fuori il disco e metterlo sulla piastra, con le puntine che ogni tanto saltavano e si rompevano, era un rituale, per quanto mi riguarda, domenicale, che coinvolgeva anche mio padre che amava ascoltare musica. Fa bene, anche, la musica, e la poesia è musica delle parole”. E nasce in lei un certo senso di tristezza da un raffronto fra l’antico e il presente; una certa riflessione di carattere morale ed ecologico da una rievocazione di tempi in cui la terra era a capo della condizione umana; in cui la gente era più vicina, più disposta e disponibile ad un incontro di fratellanza e di comprensione; e nasce, nasce soprattutto, una riflessione sociale fra l’opulenza dell’Occidente e la disperazione del Terzo Mondo: “Nel tempo antico i nostri padri/ nella semplice conoscenza della zolla/ raschiavano la terra col badile/ traccio di vite attorno al pergolato/ non aveva l’odore di discarica/ con un alito malato./ I veri padri/ arguivano la conoscenza,/ anche i Maestri dicevano/ lo studio cura l’alimentazione!/ Questo tempo presente,/ ti ride addosso non vuole essere curato// Quanti mondi ci sono al mondo?/ Uno, due, e tre/ Il terzo è il più sfortunato./ Non ha pane, non ha acqua,/ muore in un angolo dimenticato (…)” (Uno, due, e terzo mondo). Sono molteplici gli interessi che caratterizzano la sua personalità. E la plurivocità del suo essere donna, giovane e matura, impegnata e vivace, curiosa e votata ad ogni manifestazione artistica, la fa brillare in questi spazi di luci affievolite, di luci che pretenderebbero di accecarti, ma che vivono solo di riflessi condizionati. Quindi una persona complessa, umanamente e intellettivamente geniale, pur nella sua semplicità; una persona che ti sa affascinare con guizzi improvvisi, con azzardi verbali, con impennate creative. Intensa e nuova la sua produzione letteraria; interessante e contagiante; una ricerca continua di nessi e accostamenti sintagmatici, che vanno oltre la sintassi, oltre la grammatica di una comune scrittura; che si slargano a riflessioni ed emozioni personali sui fatti e le questioni; sulle meditazioni della vita e dell’oltre, per ricavarne il cuore, l’essenza, con stupore e curiosità. E la sua poesia si fa oggettivazione di stati d’animo; prolungamento del dato verso orizzonti di levatura ultra/umana. Sboccia dalle acque cristalline dei ruscelli, dalle selve decadenti degli autunni, dagli aliti innevati dei colli, dalle albe rigeneranti, dalle sere terminali, o dalle più simboliche figure mitologiche, per decollare verso cieli che sanno convertire in gaudio le lacrime: “(…) Ma tu sarai custode del tardo autunno/ lo scudo d’oro, tra le tue braccia/ sui rami del melograno/ speranza/.…/ mentre il tuo passo arriva/ come un ghepardo” (A Diana); “(…) Nell’alito nero della pioggia/ l’ora più bella/ coglie la speranza/ delle donne/ anche se lasciate sole,/ a quel telaio/.…/ tessono il vero amore” (A Circe). E il mito non è mai sfoggio di cultura, ma contestualizzazione dell’umano vivere. È là che attinge la sua pagina: dalla società, dai mali del mondo, dalle sottrazioni umane, dalle ingiustizie terrene, sì!, da tutto questo; ma anche, e soprattutto, dal taedium vitae, dalla coscienza di esistere in spazi misurati per un’anima volta a miraggi per i quali sono stretti perfino gli orizzonti degli Oceani. La sua poesia scava, va a fondo della vicenda esistenziale; e le parole, con azzardi iperbolici sconcertanti, aiutano la sua avventura ora quieta, ora felice, ora inquieta, come ogni vicissitudine terrena. La sua poesia è amore, amore per la vita, per l’arte, amore per l’amore, per tutto ciò che sia degno della sua parola. Una parola mai ovvia, mai scontata; un verbo frutto di ricerca innovativa, di fughe e ritorni. In lei perfino il presente può farsi memoria, può condirsi di quegli ingredienti emotivi che sono il sale della poesia. È tutta qui la differenza fra il reale e l’immagine. Il reale è quello che osserviamo nella sua materialità. Che può suscitare o non può suscitare emozioni. L’immagine è il dato sedimentato; quello rivissuto con input emotivi che lo rendono sospiro, afflato, fiore profumato, disposto a tradursi in versi che lo sappiano rivestire. E la parola c’è tutta; è presente nella sua pluralità; è lì disponibile ad abbracciare un’anima carica d’immagini, già di per sé poesia. Anche il memoriale ha voce in questa vicenda. E contribuisce non poco a dare rilevanza all’aspetto lirico, al pensiero che torna a farsi vivo. Assume un ruolo di alcòva, di riposo rigenerante, di rifugio riposante, anche se una venatura di malinconia attraversa il verso, portando con sé l’idea del tempus fugit, dell’inconsistenza del presente. È là che ci si avvicina di più al cuore del canto; con quelle memorie profumate di fiori d’arancio e malto orzo, dove l’odore di bucato nell’indaco dell’aria parla del Sud. Ed è infinitamente dolce ripescare immagini care; ridare consistenza al passato, riaffiorato dal nulla a tradire l’oblio: “(…) Ritorno bambina/ tra le zolle delle madri/ ritorno, dove riposa il cuore/ e si perde la memoria/ tra le radici che l’inverno restituisce alla terra/ come miele all’ape,/ ritorno// sul tarassaco indorato, dimenticato/ nel selvatico campo” (Il vento mi porta inutili memorie). Ma c’è un volo, anche; un volo che tradisce il quotidiano; un volo oltre il muro, oltre la siepe; verso qualcosa d’irreale che si fa realtà volitiva da cui solo una vertigine può riportarci a terra: “(…) - Mi risveglia una vertigine/ che mi attrae a questa terra,/ forse tu non vedi un volo,/ non credi possa vivere/ oltre quel muro” (Oltre il muro). Leggere questi versi significa farsi poeti; significa sublimarci in mondi eterei dove s’incontrano solo anime “pulite”, intente a cospirare per far rilucere il Bello. Mi ripeto spesso per la mia poesia: “L’amore, il sogno, e il reale sono degni di farsi vita solo se grondano gocce di cuore; soltanto se, seminati in giardini terreni, fioriscono in azzurri sconfinati, dove l’uomo si fa grande agguantando la coda dell’eterno”. E di cuore ce n’è da vendere nella poetica di Miriam Binda. Tutto è filtrato da un sentire estremamente elevato; perfino le cose più meschine, metabolizzate dal suo animo, si rendono possibilmente riparabili. Possibilmente riproponibili all’agenda del divenire umano. Perché c’è la speranza; c’è un credo; c’è un amor vitae forte e propositivo. Un sentimento della sua sacralità che commuove e ci rende partecipi, ghiotti del suo sentire; del suo comunicare. Comunicare reso ancora più convincente dall’uso oculato e sensibile degli innesti ritmici; da una versificazione sciolta, elegante, tessuta su un ordito mutevole che accompagna le ondulazioni delle vicende sentimentali con grande effetto visivo. Ed è la musicalità, l’armonia che proviene dagli intrecci, a dare compattezza e organicità a questo “poema”. Senz’altro vi contribuisce non poco assieme al filone significante del testo. E quando fra le varie misure, più brevi o più ampie, si innesta il potere sonoro dell’endecasillabo, spicca una vera cascata di musica, una romanza lirica, un intermezzo pucciniano, a far brillare, come punto luce, il cuore del canto. E questo rientra nella tecnica della Nostra fra gli altri tanti accorgimenti stilistici: “(…) ti dico, sei stato innamorato/ della filosofia di di Jaspers/ nel sessantotto lanciava la sfida/ alla follia, pareva fosse amore (…)” (Tic Tac). I tre versi antecedenti sembrano sacrificare la loro struttura a beneficio della melodica distensione dell’endecasillabo finale. E vi si arriva gradatamente, dopo l’apporto introduttivo del decasillabo antecedente; “Se morisse il pensiero mio di te/ il ceppo robusto/ lasciato nel sordido camino (…)” (Pensiero d’amicizia). Mentre, in questo caso, è l’endecasillabo iniziale a dare rilevanza accentuativa al tema centrale della pièce. E lo fa richiamandoci, col suo effetto sonoramente attrattivo, all’aspetto della potenzialità del sentire. Assonanze, consonanze, rime interne, sinestesie, metonimie, allitterazioni, iperboli, usate con dovuta sensibilità, sono l’anima del melodico succedersi del dettato poetico; sono note accordate che danno empatia al lirismo che si snocciola spontaneo nel poiein; nelle sue varie occasioni ispirative: il terzo mondo, l’unità d’Italia (150° anniversario), i ricordi dell’infanzia, la moda, spunti mitologici, ricordi di amicizie, temi sociali, ritorni amorosi. Naturalmente tutto visto e considerato con la spiccata sensibilità dell’artista, che al fine emerge come legame connettivo. E la Nostra fa della poesia un monito per vivere, perché crede, anima e corpo, nei suoi messaggi; le dà tutta se stessa, ogni angolo del suo essere; sa che è l’unica cosa terrena a non tradirla; può solo tramandare ai posteri la sua voce calda e positiva, umile e schietta, solida e verace in un’età di disvalori; in un’età poco propensa a slanci di cuore. Ad onirici naufragi oltre gli orizzonti. E il cerchio si chiude con inni all’amore. Con il cuore in subbuglio verso mete che appaghino un sogno. Che appaghino un canto, un ricordo di un bacio; un ricordo vicino, lontano; un ricordo che torna come voglia di vita, come fame di luce:

“Te ne vai,
con l’ultimo bacio.

Nella neve è un raggio di sole.
Nella neve inseguo le tue orme
come un lupo
che ha fame di luce.”
**
NAZARIO PARDINI

28/05/2013





sabato 14 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSANDRO VETULI

Alessandro Vetuli: “Come la pietra e il vento” - Fermenti Editrice, Roma, 2013, pagg. 91, € 12,00

Alessandro Vetuli è nato a Roma nel 1989 ed è inserito in alcune antologie poetiche. Come la pietra e il vento è la sua terza raccolta divisa in tre sezioni: La pietra, Il vento e Frammenti per Arthur Rimbaud, caratterizzata da uno stile narrativo e da una forte chiarezza nel suo svolgersi.
I versi, per lo più, cominciano con la lettera maiuscola e ciò accentua il senso di icasticità del dettato, segnato da una forte eleganza formale.
Poche poesie hanno un titolo e questa assenza fa emergere una connotazione di mistero e sospensione. La poetica di Vetuli è connotata da una certa leggerezza, oltre che da densità metaforica e sinestesica.
È sempre la voce dell’io-poetante, quella da cui scaturiscono versi, che hanno un andamento controllato ed evocativo.
Tutte le composizioni sono ben risolte da un'eleganza formale, che si coniuga a compattezza espressiva.
Si può scorgere una certa musicalità, nel poiein, che si accentua grazie al ritmo vibrante e sincopato.
Anche il tema della quotidianità è presente, venendo raffigurate immagini, come quella delle macchine fantasma, che passano alle otto del mattino, o quella di una madre che accompagna le bambine a scuola, in sintagmi che hanno un certo andamento scattante e, talvolta, permeato di magia. Il tono è colloquiale e discorsivo.
Quasi tutti i testi sono suddivisi in strofe e, in alcuni casi, siamo in presenza di un “tu” colloquiale.
Suggestiva la parte iniziale, che ha un carattere programmatico ed epigrammatico.
Pregnante la composizione a pag. 17, costituita da quattro strofe, all’inizio delle quali si ripete in modo anaforico il sintagma se c’è.
Si tratta di un brano che ha un tono sognante e magico, distinto da una forte densità metaforica.
Nel secondo verso viene citata la parola pietra, che dà il titolo alla scansione. Qui il poeta, in versi surreali, confessa di desiderare l’amore per una pietra.
L’io-poetante si esprime con versi di lunghezza eterogenea e ottima è la tenuta dei versi lunghi.
Nella prima sezione, che annovera periodi molto diversi tra loro, spiccano strofe dedicate a Sylvia Plath, la poetessa inglese che, molto giovane e affetta da disturbi psichici, si è tolta la vita.
In Sylvia Plath l'autore, con una scrittura visionaria, intrisa di un forte misticismo, descrive la poeta come persona (o forse sarebbe meglio dire creatura) fragile e vulnerabile, con i sonniferi sempre a portata di mano.
La Plath aveva paura della vita e soffriva di mal d’aurora: si sentiva spersa nel suo essere nel mondo. Vetuli la definisce come rosario troppo fragile, testimonianza di un Dio di creta.
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RAFFAELE PIAZZA ---

venerdì 13 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSANDRA PELUSO

ALESSANDRA PELUSO- : “Ritorno sorgente” – Ed. Lietocolle – 2013 – pagg. 64 –
Inaspettatamente si apre un variopinto pannello di riflessi , tra versi brevi e puntuali , tra rime accorte e sospese , per rincorrere alcune figure di purissima energia , e dal respiro sensuale, quale silenzio fuggiasco ma eloquente. La gioia semplice , nel proporre visioni, si aggancia al pensiero inespresso per ritagliare memorie o per inseguire illusioni. Così anche la musica ha un ascolto di sorprese , di ritorni , di incantamenti, giocando in alcuni raggi di luce. Nel tempo che si dipana la poesia riesce a scoprire quegli istanti , sfuggenti , per poter dire “t’amo”, e sfiorare qualche passione sopita , o da rinnovare. Anche il gioco delle labbra , in un bacio , può trasparire nel sospeso calore di uno sguardo o nell’istante in cui il mare brilla, può riconoscere le ansie dell’amore che sfiora la pelle e brucia nel timore. “Hai rapito il mio animo / lo hai formato al tuo alito / intridimi ora di passione / bruciami e lascia fiorire / la mia sterminata pianura.” Le occasioni , infine , si aprono in una guizzante tastiera ove l’immaginazione diviene oggetto-luce che si interroga , o si abbandona in sequenze che scivolano nelle accensioni intime. --- ANTONIO SPAGNUOLO

NOTA DI LETTURA = DI VALERIA SEROFILLI

Nota di lettura di Valeria Serofilli al volume "L’odore amaro delle felci" (Edizioni della Meridiana 2012) di Giulio Maffii.
Un fertile dialogo tra poeti, per poeti e non solo, L’odore amaro delle felci di Giulio Maffii, pubblicato per le Edizioni della Meridiana a seguito dell’affermazione dell’autore al Premio Sandro Penna, Edizione 2011.
Nello specifico, un dialogo con Margherita Guidacci il cui testo “Viviamo in mezzo ai Telchini”, posto ad esergo del libro, è usato come spunto di partenza, isolandone i singoli termini, per proseguire sul cammino poetico, humus da cui nascono felci profumate.
Un dialogo tra poeti dunque, quasi a riprendere il titolo del testo “Poesie per poeti” da cui è tratta la lirica della Guidacci.
Un volume, questo di Maffii, caratterizzato dal titolo di per sé fortemente evocativo L’odore amaro delle felci.
Spicca in modo immediato la sinestesia l’odore amaro, ulteriormente complicata dall’elemento simbolico-evocativo e in parte misterioso della felce, pianta antichissima e assai diffusa, quasi selvatica, eppure in grado, nella sua apparente semplicità, di richiamare il senso di mistero, nello specifico l’aura dell’ispirazione poetica, assecondandone il soffio, la brezza; humus e verdi foglie non rami secchi, in grado di flettersi senza tuttavia spezzarsi, come recita la poesia di pag. 26 In principio è la brezza, quasi a richiamare una citazione biblica, anche se il tono e il tema sono più colloquiali pur se affiancati da un polisindeto ( si veda il verso 2 “che sgorga e piega e bilancia”) ripreso al 17° verso con la negazione “non cade non crolla non dissesta”), per concludersi con il positivo ed ottimistico invito ad amare.
Invito scandito dal Leitmotiv “tempo a tempo”, che contrasta con la fragilità e flessibilità richiamata dall’immagine della felce, in sapida ring composition col titolo del volume. Poesia, questa, che potrebbe porsi come componimento incipitario con valenza eponima in quanto, nel secondo verso, torna il titolo del libro:

--In principio è la brezza
l’odore amaro delle felci
che sgorga e piega e bilancia
ogni altrui rinuncia
(…)
Qualcuno frana insieme ai giorni
nei tormenti delle pietre
il nostro apologo si riscrive invece
(…)
tempo a tempo
non cede non crolla non dissesta
dove tu sei dove io sono
tempo a tempo
amor finché ce n’è
ama fino a che è possibile
tempo a tempo--
(da In principio è la brezza)

Una scrittura, quella del Nostro, dall’andamento discontinuo e frammentario, definito rapsodico (Gordiano Lupi).
In quest’ottica risulta quanto mai interessante l’accostamento tra la tecnica espressiva di Maffii e musicale dello Schönberg, di cui Adorno per primo indicava la peculiarità della natura aperta e processuale della sua evoluzione, nel susseguirsi di rapidi mutamenti di prospettiva e nell’enigmatica catena creativa, nella quale ogni singola opera acquistava carattere di assoluta unicità.
E perché non trovare anche in pittura un parallelismo con il puntinismo o pointillisme, tecnica che consisteva nell’accostare per contrasto un’infinità di punti di colori puri per dare maggiore luminosità?
Contrariamente alla montaliana poetica dell’assenza, dunque, tanta luce e ottimismo nei testi di Giulio Maffii, un autore in grado di porre validi quesiti nell’attuale realtà di linguaggio manipolazione e di dare ancor più solide risposte, ribadendo il valore salvifico della poesia e l’alto ruolo del poeta. Poesia e poeta: i soli a sapere vedere dal sopraelevato “molo” l’incanto fiorito dell’arida steppa, il pieno e il vuoto, il buio e la luce.

Valeria Serofilli---
( Caffè storico Letterario dell’Ussero, Pisa, 13 Dicembre 2013 )

mercoledì 11 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = LEDA PALMA

LEDA PALMA : – “Ingiurie e silenzi” - Fermenti Editrice - Roma – 2013- pagg. 99 - € 12,00

Ingiurie e silenzi può essere letto come un diario poetico di viaggio verso l’Oriente, che è insieme luogo geografico e spazio dell’anima; il testo non è scandito e tutti i suoi componimenti sono centrati sulla pagina e senza titolo; il testo è caratterizzato da un ritmo molto accentuato che dà, al contesto complessivo, una certa musicalità; tutte le poesie si risolvono in unico respiro, anche per l’assoluta mancanza, in esse, di punteggiatura. In Ingiurie e silenzi, si avverte, molto fortemente, il senso del cronotopo, del tempo nello spazio, che è il luogo del viaggio; nella prima poesia, che ha un carattere programmatico, l’io-poetante si rivolge al viaggio stesso, che diviene il “tu” a cui rivolgersi, un viaggio personificato:-“ Benvenuto tu sei viaggio perché/ perdo d vista con te accanto/ il tempo/ lo lascio ecco avariare/ tra i rintocchi del pendolo/ non mi rovescia oggi/ gli assilli di una vita/ quotidiana// un’unghia di avvenire fruga/ l’atlante che caldo gira/ in un cavo di mano/ su un punto spiana – un riposo/ di giallo-/ quanta saggezza assorbo tra le mani/ quant’anima si allarga/ si schiarisce/”-;. questa poesia è pervasa da un’ansia dinamica e controllata, verso la temporalità e la spazialità e, nello stesso tempo verso la tensione che conduca ad una possibilità di quiete (vedi la bella sinestesia riposo/di giallo). In questo testo c’è una forma avvolgente dei testi e una certa pesantezza, che si coniuga a un’accentuata lentezza nel dettato, caratteristiche di per se stesse non negative, leggermente amplificate dalla forma centrata dei versi, forma che rende lo stesso ritmo incalzante. C’è una certa sinuosità nei versi, che sgorgano gli uni dagli altri, in un procedimento per accumulo. In Ingiurie e silenzi incontriamo una certa levigatezza del dettato, che è pervaso da una marcata eleganza. Una delle caratteristiche di questi versi è la visionarietà che si coniuga ad un andamento suadente e, a volte, musicale; è iterativo il rivolgersi al viaggio, come ad una persona. Pare di assistere, all’inizio del libro, ad una fase preparatoria al viaggio, successivamente al viaggio vero e proprio; vengono descritte tutte le sensazioni evocate dal viaggio, come la nostalgia. A volte la musicalità del versificare, dà al tessuto linguistico un afflato di canzone. E’ evidente anche la presenza della natura, in paesaggi ed animali che vengono nominati, Una forte chiarezza pervade queste poesie, che, spesso, hanno un tono lirico e vagamente elegiaco. Ingiurie e silenzi può essere letto come un poemetto, per l’unitarietà dell’argomento e per la compattezza e la coerenza formale. In alcuni componimenti riscontriamo un certo straniamento, insieme ad una disposizione anarchica dei versi, come nella poesia a pag. 29:-“Piccoli scorpioni nella notte/ in cerca di anime da seccare/ avanti e indietro della mente/ manovrare i sogni/ (non li so guidare/ per loro nulla a riposo/ sconfitte umiliazioni// cascame di civiltà/ che trascino a spalla/ lungo/ la distesa di case strade/ chiamate vita dove/ straniera/ la voglia di finire/-“. C’è densità semantica in questo componimento; nell’incipit incontriamo gli scorpioni, simbolo del male; seguono immagini dal carattere ontologico (l’avanti e indietro della mente, i sogni da manovrare la vita chiamata e la voglia di finire). Salienti i versi a pag. 19.-“ …che tu viaggio condurrai il mio io/ al sicuro alimento di acqua chiara dove l’ampio respiro beduino/ s’abbevera dissolve…/”. Da questi sintagmi possiamo dedurre che il viaggio viene considerato dal poeta come un evento salvifico; l’acqua è qui chiaramente elemento e simbolo di rigenerazione. Molto spesso c’è una forte corporeità in questi versi come in questo passaggio:-“ …è spada stanotte la luna/ che snuda coperchi di me…/”.

RAFFAELE PIAZZA---

martedì 10 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = FLAVIO ALMERIGHI

FLAVIO ALMERIGHI: “Voce dei miei occhi” --Fermenti Editrice, 2013, pagg. 79, € 12,00

Flavio Almerighi è nato a Faenza nel 1953; le sue prime liriche risalgono al 1976. “Voce dei miei occhi” è una raccolta di poesie non scandita, caratterizzata da un notevole equilibrio formale; la voce poetante è sicura e tutte le composizioni sono felicemente risolte. La poesia eponima, in apertura del testo, è molto icastica ed è strutturata in cinque brevi strofe; si tratta di un componimento di carattere solipsistico, nel quale l’io poetante pare dialogare con se stesso e, anche per questo, in essa, troviamo una valenza filosofica; il tono in “Voce dei miei occhi” è generalmente stringato scabro ed essenziale. A livello stilistico, nella raccolta, ci sono poesie strutturate in un unico periodo ed altre formate da varie strofe; molto spesso è la quotidianità a fare da sfondo alle situazioni descritte, che spaziano dal pubblico al privato.
Diverse figure di donne vengono cantate dal poeta, tra le quali la pittrice Charlotte Salomon; come scrive Maria Grazia Calandrone, nell’acuta prefazione, questa ragazza condivise la medesima sorte di Anna Frank, ma se Anna affidò alle parole i diari della sua breve vita, la Salomon usò delle immagini per fare resoconto dello stupore e dell’inguarito dolore di quei terribili anni. La Salomon di Almerighi dice che le cose sarebbero state le stesse anche senza il suo sguardo. Ma invece, grazie a lei, una vita ha minuziosamente attraversato i decenni, ci è arrivata nonostante i dettagli, nonostante la morte, nonostante l’atrocità dell’ Olocausto. Leggiamo la poesia Charlotte Salomon:-“ lascio vestiti e mani a una gruccia/ il veleno del verme mi ottunde/ ha colore simile al sangue, m’inquina// passo su una pavimentazione precisa/ progetto affatto mio nei limiti/ di tele spente anzitempo// sulla dorsale l’osservatore distratto/ m’indica le cose, sarebbero le stesse/ anche se non ci fossi// in assennata visione di deserto/ io piccola piango,/ unica acqua per milioni di miglia/ e tutto l’impianto gemendo cresce/ nella stanza da letto spretata/ dov’è carezze trascorse ancora qui/”- si tratta di un componimento articolato in cinque terzine ed i versi proseguono, in esso, in lunga ed ininterrotta sequenza e senza nessun segno d’interpunzione, tranne due virgole; un’ icasticità potente sottende questo testo, icasticità che deborda in una certa forza espressiva, a partire dalla prima strofa nella quale è detto addirittura che il dolore del verme ottunde l’io poetante: vengono detti pianto e gemito, descrizione dei sentimenti di una vigilia di morte a causa della crudeltà del nazismo.
Nonostante il fatto che il testo non sia scandito, non si può dire che esso abbia una valenza poematica: infatti non esiste un filo conduttore, un filo rosso che leghi tra loro i componimenti, che si presentano tutti come quadri ognuno separato dall’altro; accomuna tutte le poesie una tensione verso la scoperta del senso della vita, una ricerca di una possibile, se non felicità, almeno serenità, nell’esserci nel mondo; del resto anche la suddetta Charlotte Salomon, più o meno presaga della sua tragica sorte nel campo di sterminio, trovava la forza di dipingere, quasi come se i suoi quadri potessero esorcizzare il mondo e l’atmosfera che la circondava.
Emblematica sembra essere la composizione e, due di uno:-“ A nulla servirà non smettere/ di guardare il buio gettato dentro/ mentre due chiocciole cumuliformi/ si spostano lente in alto/ come i loro traslati/ uguali ai mari di naufraghi e pesci/ che si accorgono di te/ solo quando stanno per cadere// E, due di uno, api operaie/ cresciute a rose e scogli noi/ siamo filo rosso/ che le tigne mai/ sapranno scomporre/”-

RAFFAELE PIAZZA -
______________________
Minuscola

Un po’ ovunque, chiunque
dappertutto al mondo c’è qualcuno
e compie gli anni
rosa spina il tergicristallo
precisa nella circonferenza
riga e segna tenuta assieme
dalla velocità di crociera
e dal dono piacente della pioggia
il temporale somma
botti e festa, evoca sé stesso
nel compleanno ogni mese
e io come lui a stupirmi
di quanto minuscola sia
ogni certezza.
**
Ragione di restare

i rimasti a salvare i rimasti
non c’è altro modo, ragione di restare
proteggere il bianco degli innocenti
né più straziante del guaito
nel pianto di un piccolo

torna a letto
sotto le coperte calde che sembrano vive
per riprendere il sogno
nel punto del segnalibro, a segnare
là dove l’hai lasciato


domenica 8 dicembre 2013

INTERVENTO = LA POESIA DI VALERIA SEROFILLI

RIFLESSIONI SULLA POETICA DI VALERIA SEROFILLI

Da Amalgama e Dai tempi. I quaderni dell’Ussero. puntoacapo Editrice Pasturana (AL). 2013

Un repêchage storico/memoriale su cui poter costruire un futuro con spirito positivo


“… Ma se Montale parlava a nome di un’intera generazione di poeti che vedeva smarriti e si rivolge al lettore con il tu confidandogli di non avere messaggi risolutivi, il mio intento è invece quello di rovesciare il segno radicalmente negativo "nel senso dell’assunzione di un impegno positivo d’indagine razionalmente esplorativa". (F. Romboli). Urge, oggi più che mai, un poieo che non sia travolto dal mal di vivere ma solo intaccato, per non risultare avulso dalla realtà e tuttavia al tempo stesso capace di infondere positività nel lettore. Oggi più che mai si avverte la necessità di una parola poetica che sorga spontanea, “come le foglie vengono ad un albero”, ricordando l’aforisma di John Keats¹, senza prescindere tuttavia dall’interiorizzazione e successiva elaborazione di almeno qualche strumento di base della scrittura. Urge, a mio avviso, una espressione, un sentire poetico in grado, per la sua universalità, di eternizzare, andando al di là del contingente e del particolare, come sottolinea il grande Aristotele. Perché non è affatto vero che “i poeti sono come i bambini: quando siedono ad una scrivania non toccano terra con i piedi”, come scrive Stanislaw Jerzy Lec. Certa dell’impossibilità di dare una definizione esatta della poesia, concludo facendo mio il pensiero di S. Johnson ³, secondo cui più che parlare di cosa è la poesia oggi, sarebbe più facile dire cosa non è…” (Valeria Serofilli: La poesia oggi - dal blog: Alla volta di Lèucade, 07/05/2012).

Questo scrive Valeria Serofilli in un suo intervento sul tema “La poesia oggi”. E la sua poesia è folta di occasioni che prendono il via dalle piccole e dalle grandi questioni, dagli eventi, dalle suggestioni, dalle sensazioni, dalle emozioni, dove l’ardore allusive delle metafore incide sul dipanarsi del canto:

"Ora che l’afa
non cessa il suo morso lento / ma vorace
ti porterei con me, a toglierti un po’ di smog
di quel catrame trasparente / sedimento
della vita di sempre (Ora che l’afa);"

incide sulla rievocazione meditata di grandi personaggi:

"Ah! Se potessi / al vivere
non dover mai / dare
un resoconto!" (In morte di Mario Luzi);

o sulla immagine vitale del padre tra una folla intossicata di vita:


"Ora che più manchi/ più non manchi
e la tua memoria a quest’ora
s’intride di luce
Anche qui, tra la folla / intossicata di vita
vocii richiami applausi
mi tieni compagnia” (Lettera a mio padre).

Ma non si arresta certamente a questa emotiva sollecitazione mnemonica, o ad uno scusso realismo; se li trascina dietro, questo sì, nei suoi azzardi immaginifici e zeppi di buone intenzioni; nel bagaglio produttivo a cui attingere con autoptica e spontanea ricostruzione di quello che è rimasto a decantare; nelle sue riflessioni sul vissuto e i quesiti del nostro esistere demandati ad un verso che amplifichi i sintagmi per trasferirli oltre i significanti metrici del canto; significanti, che, pur alludendo alla via crucis del nostro vivere, ne annuncino una luce a schiarire le tenebre:

"Padre Nostro
ti ringrazio per il giusto apporto di raggi quotidiano
e anche se il mio giorno trascorrerà
cliccando “mi piace” o “commenta”
salverò in bozze il mio telematico
ma mai anacronistico -Ti amo –" (Moderno Padre Nostro),

perché la poesia non deve annichilire, né tanto meno scoraggiare in questa società bisognosa di impulsi positivi. E la poetessa lo fa ricorrendo alla parola che per lei è il tutto. È il corpo dell’anima. Ricorrendo a quel riposo edenico di cui c’è bisogno in questa convulsa vicissitudine; al sogno, che, esso stesso, ne fa parte:

"Finché la sveglia non ci sottragga
a ciò che induca al sonno
ed alla mente il sogno,
il giardino sia quello delle Esperidi!" (La sveglia).

E sta tutta qui la sua poetica: in quel mélange indissolubile fra dire e sentire. Una ricerca di vincoli sonori, di figure stilistiche, di allusioni verbali, di traslati, tramite cui trasferire l’immagine sedimentata oltre i confini. Perché è proprio dell’uomo ambire a toccare l’azzurro del cielo. Lo vive come esigenza. E sta anche qui la umana/disumana dicotomia fra la nostra “terrenità” e il fatto di essere spiriti lanciati oltre la siepe. Comunque, sa, la Serofilli, che con una ricerca attenta e assidua del verbo si può soddisfare la nostra brama di allungare il più possibile lo sguardo all’inarrivabile. Sta in questo tentativo arduo lo slancio novativo della poesia della Nostra. Una poesia che sgorga da un’anima pregna di sensazioni ed emozioni che vogliono uscire rinnovate in una visione di assoluto, di rinascita:

"Che si rompa il guscio di pietra focaia e fionda
il cavernicolo di ripercussioni e invidia
Via l’involucro di mattoni vecchi
per rinascere acqua di lago / senza spreco
fondamenta più solide, anche se di palafitta
e poter dire infine “Evviva, è nato l’uomo senza
il guscio!” (Ab ovo).

Ma è cosa possibile forgiare un discorso che contenga pienamente gli abbrivi imprevedibili del nostro essere? D’altronde il verbo e la sua articolazione sono umani, ciò che non lo è la cospirazione del nostro spirito. Uno spirito che anela a superare i limiti, a slanciarsi oltre le misure di uno spazio ristretto. C’è anche, in questo “poema”, una richiesta alla natura di una sua collaborazione cromatico-allusiva. Del suo proporsi:

""O non è forse / il solo
restare qui / abbracciati
mare monte lago
semplicemente noi
la nostra estate?" (Ora che l’afa).

Ciò che si attua con una vera fusione fra l’animo dell’autrice e gli elementi panici che lo completano.
Ed affidarsi a riflessi naturistici, a una simbiotica amalgama di poli contrari per simboleggiare la funzione di una palingenesi epifanica, rientra nelle corde canore della Serofilli. Sì, perché lei crede nella poesia, le affida un grande compito: quello di una presenza in questa “società liquida”, fatta di “viandanti sperduti”, “intossicata di vita”. E il suo dire assume svincolamenti, forzature morfosintattiche, perché nell’anima della Nostra c’è l’intenzione di trasferire il contingente in sfere sublimanti:

"Quando uscirà / il mio nuovo libro
avrà pagine di vento, i colori del tramonto
inchiostro d’alba / la pelle dei bambini
di tutto il mondo
Il mio nuovo libro / quando uscirà
sarò uscita anch’io, e fuor di scena detterò
parole intrise della saggezza
di chi non più la cerca
Sarà allora che il mio Editore
venderà copie a milioni / e le ristampe
e presentazioni ovunque /ed interviste
Quando uscirà / il mio nuovo libro
sarò famosa d’erba e nuvole
e da un angolo di cielo, assaporerò finalmente
ciò a lungo negatomi" (Preghiera del Poeta).

Un linguaggio metaforicamente complesso: diciamo di una semplicità complicata, ma pur sempre funzionale a una trama dalla bellezza eufonica di un verso essenzializzato. Di un verso che esonda ex abundantia cordis. Metafore che si accavallano in un gioco di innesti. Una verticalità senza fine. Metafore che non trovano un compimento assoluto, ma che generano a loro volta sostanza per nuove allusioni metaforiche. Un castello fatto di tasselli stratificati, legati gli uni agli altri a sorreggersi, per cui, togliendone uno, uno solo, franerebbe l’insieme; nuocerebbe alla costruzione. Eccola la compattezza dell’opera della Serofilli. Un’opera di polisemica significanza, dai toni epico lirici, anche, ma di una sonorità da melodia pucciniana che tiene uniti, con il suo perpetrarsi in sottofondo, tutti i quadri della rappresentazione lirica. E ciò che aiuta questo fluire melodico – la sonorità è nella parola, nella disposizione dei nessi e negli intrecci concentrici, disposti con naturalezza all’espansione – ciò che l’aiuta sono quelle rime interne o quelle assonanze, quelle metonimie o sinestesie che s’intersecano nell’articolato linguistico.
Un realismo lirico? un ensemble di riccioli barocchi su facciate impreziosite da stucchi? - con accezione positiva, naturalmente -; un assemblaggio lessicale nutrito di vaghezze semantiche? di perspicua sapidità disvelatrice? un forbito intrico di intensificazioni verbali? un esistenzialismo panico finalizzato a concretizzare un sapido pathos? un credo che innerva i versi della sua substantia per sfidare il tempo? il suo inderogabile fugere? la sua inesorabilità, e il senso eracliteo dell’esistere? Sì, io penso che nella poesia della Serofilli ci sia un po’ di tutto questo, con l’aggiunta di un repêchage storico/memoriale che faccia da piedistallo su cui poter costruire un futuro con spirito positivo. Una storia da programmare con grande abbrivo emotivo dove passato presente e futuro si embrichino indissolubilmente dando forma al logos della poesia; oltre il memoriale: “Sei l’antico etrusco / che abbraccio sul sarcofago / il bizantino con me nel Mosaico” (Dai tempi).
Un poièin nuovo; o meglio una poesia che, ri-lucidando l’antico, si proponga attuale in una veste rivoluzionaria. Perché c’è tutta l’insoddisfazione delle sottrazioni umane, quella insoddisfazione del fatto di esistere che è stata sempre presente nella filosofia etico/estetica dacché l’uomo è uomo. Ma c’è anche quell’azzardo a scomporsi in scrittura sperimentale che può fare a meno di tanti nessi canonici, di interpunzione o altro, perché sente forte la necessità di arrivare al lettore, al dunque; sente forte l’input della libertà, dello sperdimento nel sogno; ma, soprattutto, lo stimolo a non perdersi per strada in questa corsa verso una simbiotica fusione fra essere ed esistere. In questa corsa verso un dire che annunci la propria esistenza; e che non si riduca solo ad “una solitaria esperienza senza gioia e senza orizzonti” di montaliana memoria; ma che gridi con tutta la sua forza la voglia di incidere sulle vicende umane; fino ad affidarsi all’unico giudice: l’Eterno:

"[…] Quando uscirà / il mio nuovo libro
sarò famosa d’erba e nuvole
e da un angolo di cielo, assaporerò finalmente
ciò a lungo negatomi
E se mi commuoverò
il mio sorriso / rifranto all’infinito
avrà tutte le sfaccettature
della luce, rugiada mattutina le mie lacrime
Il mio pubblico immenso:
ogni poeta / ogni ricerca di senso
Sarà storia il trascorso, il vissuto un esempio
consiglio ogni sbaglio
Senza rilegature le pagine, si spargeranno a mille
seme di giudizio / maturato a pelle, perle di esperienza

Rilassata / altrove, ne gusterò
il sapore, raccogliendo il frutto
del mio trascorso ardore
Ora che più non preme
anche se oltre, il senso, non
verrà disperso / eredità sofferta
ma mai rimorso, il tentativo di suggerimento
Non più resoconto
né agli altri, né a me stessa

Unico giudice: l’Eterno”

Nazario Pardini
7/12/2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = NANNI BALESTRINI

NANNI BALESTRINI: “Sconnessioni” - Fermenti Editrice, 2013, pp. 79, € 15,00
Come scrive Gualberto Alvino nell’acuta introduzione alla composita raccolta di Nanni Balestrini "Sconnessioni", il poeta è uno dei massimi esponenti delle seconde avanguardie. Si può considerare un «costruttore, all’insegna insieme del risentimento e di sfrenati atletismi verbali, d’atroci macchine testuali alimentate da “materiali stilistici prefabbricati”, senza le quali una quota non infima delle scritture antagoniste del secondo Novecento risulterebbe altrettanto orfana che incomprensibile». Inoltre, scrive ancora Alvino, è «uno dei pochi poeti italiani in cui eversione formale e passione civica, scavo della lingua e orgia dei contenuti, rivolta politica e contestazione letteraria, non abbiano mai conosciuto un istante di divaricazione, con buona pace di quanti si ostinano, oltre ogni buon senso storico-critico, a mozzarne la poetica in due tronconi eterogenei e inconciliabili, anime perdutamente opposte. l’una culminante in Tristano, dove – sotto l’impero del significante – tutto s’impernierebbe sul disegno strutturale, da esso traendo fondamento e ragione, l’altra da Vogliamo tutto in qua, governata da rapinose oltranze metaletterarie».
Sconnessioni, pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma, è articolato in quattro sezioni: quella eponima, Sconnessioni, Frammento di Arianna, Tre nuovi cori di Elettra, Non capiterà mai più; le varie scansioni sono molto eterogenee tra loro, a conferma della poliedricità di Balestrini, che è un poeta «traumaticamente sperimentale» in cui, «anche nelle più arcigne sperimentazioni sono sempre l’uomo e il mondo a fornir materia» (Alvino).
In tutte le parti del libro incontriamo un tono vagamente alogico ed è presente una velata musicalità, raggiunta tramite un ritmo incalzante; si ha l’impressione che il poeta produca un raffinato gioco con le parole e i sintagmi siano spesso strutturati in modo anarchico.
Tutto il testo è caratterizzato da un’assenza totale di punteggiatura e in Sconnessioni è presente una certa dose di visionarietà; in questa sezione, nell’avvicendarsi dei versi, si produce un effetto di forte straniamento e di sospensione e c’è un tu velato di mistero, al quale l’io-poetante si rivolge. L’opera, in toto, potrebbe essere letta come un poemetto, per una sua vaga compattezza espressiva.
In Frammento di Arianna, per quattro voci, che risale al 2005, incontriamo una scansione irregolare dei versi brevissimi, formati da due, tre o quattro parole, strutturate in una disposizione sghemba, senza un filo logico che le leghi; qui è difficile trovare un senso nei periodi; è presente una forte forma evocativa, insieme ad icasticità, nei versi plastici e ben controllati, nella loro levigatezza.
In questa sezione riscontriamo un’armonia formale e una luminosità, che nella sezione eponima sono solo accennate; è presente l’elemento della fisicità e vengono nominate molte parti del corpo; c’è una musicalità nei versi, sottesi ad un ritmo leggero. A un primo livello i sintagmi potrebbero apparire disarticolati, invece c’è in essi una forte coerenza espressiva. In Frammenti di Arianna, si avverte la presenza di un filo rosso che lega le parti tra loro.
In tutte le sezioni pare che la genesi di ogni verso dipenda da quello precedente. Il libro è composito anche perché, in ogni scansione, incontriamo una diversa disposizione architettonica dei versi.
In Tre nuovi cori di Elettra, scritti tra il 2002 e il 2008, riscontriamo una maggiore coerenza logica e un barlume di chiarezza; qui, oltre a sospensione, si riscontra una certa ridondanza espressiva. I sintagmi procedono con una grande precisione e il ritmo è incalzante.
**
Raffaele Piazza

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Buoni auspici

tutto pronto
si alternano schiarite
dei gufi delusi
dalla penna al pennello
tanti signor nessuno
non ritratta le accuse
dammi i soldi o ti uccido
tenta di uccidersi
italiano impegnato
si dà fuoco
ubriaco muore
sono quelli che ha ucciso
la democrazia
tanti signor nessuno
ma voi non siete d’acciaio
letteratura da bassifondi
prima giornata di primavera
dopo una nottata
si guardano in cagnesco
un’intera stagione
mercato ancora incerto
scontri tra estremisti
la torre di Pisa verso il collasso
il video ribelle
nel buio

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANDREA ROMPIANESI

ANDREA ROMPIANESI : “Dietro tutti i colori del blu” – scrittura creatrice edizioni – 2013 – pagg. 56 - € 10,00 –
Variegati colori introducono il ritmo serrato della poesia , che si offre in ripetuti solfeggi tra rapide incisioni e delicate sospensioni. Il verso, quasi sempre breve e fulminante , cerca quelle sfumature che il dolore imprime quotidianamente in memoria e in lamento per una perdita che non sarà mai più possibile recuperare. “dovunque/ l’esordio del giorno/ appare molesto/ o contende / l’epicentro e il passaggio/ tutta l’accorta pazienza dei cortili/ rivela accudendone suoni / lo struggersi lento dei ricordi.” Il diario composito diventa pagina dopo pagina una canzone scandita , nutrendo il pulsare del cuore in attesa di una improbabile traccia che possa riprendere il profilo della madre. La preghiera allora sospende le ombre e gli spazi , il gioco e l’inquietudine, inseguendo la conferma di un infinito , illusorio e pur incombente.
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 7 dicembre 2013

POESIA = CLAUDIO FIORENTINI

PIETROSA PASSIONE--

La lenta, pietrosa passione che ieri
Prima di sbiadire nell’oggi
Venne a ferirmi
Umile di canti e vento prosciugato
Stele di pensiero e tempo
Più non vedi?
Ecco, prati e foreste, mari e montagne
Tutto si dispiega nel pensiero
Perché la realtà è cemento
Solida realtà che all’oggi sottomette ogni speranza

Ma no, non è vero…
L’uomo distrugge e la natura persiste
Tutto ciò che muore poi rivive
Come le radici attorcigliate su quel muro
Come la tempesta che ruggisce
Come il tempo che non cede nessuno dei suoi momenti
Alla morte che arriva
E un solo cielo, un solo mondo, un solo fiato dove vivere ancora
Dove amare ancora
Ieri, oggi e domani
Come sempre
A dirci che la Terra non rinnega il proprio amore
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" QUANDO LA LUCE"
Quando la luce finirà
noi non saremo ciechi all’abbaglio
di quel terrore
e solo potremo credere
allora come non mai in quel laccio di fede
nascosta e limpida
come da notti e giorni
e tempi andati
e vibratili fibre che ci impediscono
ora come sempre
di volare
Quando la luce finirà
e d’improvviso un altro degrado
sarà lì a convincerci che la follia
forse non era tale
e che il tempo non è bastato a farci capire
che matti si è savi e savi si è stolti
così come ci vediamo oggi
e forse non immaginiamo una possibile fine
ci ritroveremo allora
per un solo attimo
eterno, vero, solido
... a pentirci
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CLAUDIO FIORENTINI

SEGNALAZIONE VOLUMI = ADELE DESIDERI

ADELE DESIDERI : "Stelle a Merzò" , Moretti&Vitali 2013, pag.72, euro 12

La Sapienza che va custodita, è il monito trasmesso da Atena nel mito del serpente Eretteo, nato da un violento, quanto mai tormentato litigio tra la Dea e Vulcano. Sotto le vesti di una parafrasi lirica moderna che coinvolge amore e sapere, Adele Desideri ripropone una versione del significato mitologico citato, con un dramma diaristico intitolato: Stelle a Merzò. Il poemetto racconta lo sviluppo di una storia d’amore nata a Merzò, una frazione di Sesta Godano e finita, attraverso un percorso circolare, ancora a Merzò e, come in un rituale misterico, celebra l’eterno ritorno della esperienza umana (v. significato del serpente), contro la tradizionale linearità della catarsi spirituale interna alla cultura occidentale. Graficamente il poema si inscrive in un Mandala, poiché insegue un progetto di progressione spinto dal prezioso dono dell’amore. Sappiamo che Amore e Sapienza, nell’esoterismo precristiano si inscrivono compiutamente all’interno del gioco generativo della vita. Così, come nella magia di un sabba dionisiaco, tra toni sacri e profani, si sviluppa un racconto il cui finale, tuttavia, convola a un totale fallimento della storia d’amore. E’ un nulla in questo caso che non ha niente da dividere con il concetto di vuoto, inteso come separazione dalla matrice (mater) genitrice di tutto. Il Nulla di questa storia, si palesa attraverso un progetto non-generato, malgrado la Sapienza femminile impieghi ogni strategia atta a salvare l’Amore. Stelle a Merzò si pone come eccellente pagina di una storia umana dai margini estremi, dove passione ed eros sono corifei nel teatro della vita. E’ proprio in questo incantesimo che nascono, a cavallo tra sogno e risveglio, versi elegiaci affini a un estetica surreale che ricorda alcune finestre poetiche della Notte di Dino Campana …allora so che nel canto incessante/ delle cicale, nel verde fosco delle alghe,/ nel cielo nervoso di questo agosto/ smembrato, si ferma il tempo…, dove compagna degli amanti figura l’ombra del naufragio. Le parole sono riti inverecondi,/ ancelle dei tuoi sbagli. L’amuleto/ indiano -che oscilla appeso al muro -/ rifrange le ombre del dissentire,/ della ribellione, delle errabonde deviazioni. Tuttavia nessuna strategia seduttiva può intervenire e lei, la Donna del pane nuziale,/ anfora - madrigale -/…latrice di grazia/…secretata memoria/, non può mutare il corso di un destino che è vocato, come in una tragedia antica, già al fallimento. La fine in questo dramma si avvicenda di data in data ma, come avviene sempre in ogni dramma, ha come sfondo un’eroina che sola riannoda sotto la sinopia la favola incantata della speranza …Ci raduniamo qui,/ in attesa di una donna che,/ con il filo - con l’ago - riannodi/ gli orli slabbrati, rammendi la lisa/ stoffa e sui capelli ponga fiori/ di cartapesta - segnali/ di una memoria mancata,/ di una fallita scommessa./… Attento! Controlla, registra/ non svuotare le tasche,/ conserva i lacerti di carta/ che attestano il tempo fuggito. Il tono usato dall’autrice trasferisce al silenzio di un abisso mitologico la forza primeva che, come in un incipit Wagneriano, è capace di aprire agli dei della natura, latori di segni sapienziali, la forza di un dolore pervasivo che fa eco in una terra in cui il divino riesce ancora a parlare all’umano. E’ quindi la stessa autrice che, nel nascosto delle selve umide della Val di Vara, diventa mediatrice di questo messaggio. La vita per maturare deve crescere nella cesta che Atena, la domina mater, ha consegnato alle Aglauridi. Rinunciare a priori è consegnare al destino la paura, un fine che, come dice Kemeny nella prefazione al testo, si raffigura come un’ombra mortale che trascina negli abissi dell’annullamento anche le cose. Premonitrice di tutta l’escatologia umana, la donna, luogo dell’anima vitale, è destinata a portare la sapienza ad affinare un gioco temerario ma necessario, pena l’annientamento della stessa natura.
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AKY VETERE

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

MATTINO AD EMERGERE----

Mattino ad emergere
Selene nel freddo
a pervaderla: attimi
rosapesca nella camera
della mente nel
resistere al del tempo
le spire. Riemerge
Selene nel folto
del piumone per il
corpo, fisica gioia
nel rigenerarsi
fino al filo della
portineria-acquario a
prendere di Antonio
la lettera. Apre la
busta, attimi disadorni,
ti amerò per sempre
con incerta grafia
il biglietto nel del
jeans sdrucito la tasca.
Ai blocchi di partenza
per la città.
*
LINEA DI POESIA DELLE TUE FRAGOLE-

Una linea di poesia mi chiedevi, un chiaro
incontro oltre la chiave della nebbia,
si apriva e continuava e stava nel freddo polare
di igloo casa la giornata sottesa ai tuoi panni
lasciati in una telefonata marina nell’azzurro
subacqueo dei secoli dietro di noi e domani come giorno:
se avevamo fame tu sfamavi di parole la mia voce
con i salici dell’ironia, io ragazzo appoggiato alla tua
sigaretta donata nella bellezza della gola in un bel luogo
di liquido prato.
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ALESSIA E IL 2014--

Sotteso a indumenti
di ragazza Alessia
lasciati a terra prima
dell’amore
il 2014 nel calendario
alla della camera
da letto parete, alle
porte di fisicità ed
anima di Alessia,
con Giovanni nella
vigilia incanto e grazia
nel muovere passi
di prove di danza,
per nella vita entrare
se non è nuotando
esistere. Gioca Alessia
prima che s’inveri
e non sia recita il
piacere a stellarla
nel timore azzurro
(tanto non mi lascia).
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RAFFAELE PIAZZA---

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

"RITORNI" -

Il gioco dell’amore insegue i tempi

in cui strappammo allegramente il sesso,

tra le onde benigne del golfo.

Ora io piango

ricordi affannati , la foto che ti svela

tornita come il marmo ,

l’acqua salsa,

il boccio della carne inappagata,

l’arcana derisione del tuo nudo.

Via con la testa a segnare confusioni,

mentre l’ambrosia piega il profilo

e l’azzurro si riposa tra le mani.

Ritorna agosto per smarrire leggere

vocali , imperfette , e la tua bocca

non ha più labbra per il controtempo.

Forse l’eternità gioca all’amore

per rincorrere inganni.



Non è più marmo il tuo ginocchio adesso

che la bara distrugge ogni fattezza.

Ho cercato la pelle nel distacco

ed ho mancato la presenza, intrappolata

nel pallido impossibile.

Silenzi e distanze raccolgono le ombre

nelle quali dissolvi inconcepibile ricordo.

Starmene qui nel segno dell’abisso,

nel gelo dei fantasmi che hanno rubato la luce,

uno dei molti illusi della Croce

in angusti sentieri, senza posa…

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ANTONIO SPAGNUOLO --

venerdì 6 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = MASSIMILIANO CHIAMENTI

Massimiliano Chiamenti: “adel & c.” - Fermenti Editrice, Roma, 2013, pagg. 115, € 14,00

Massimiliano Chiamenti è nato nel 1967 a Firenze, è vissuto a Bologna e, recentemente, è tragicamente scomparso; ha pubblicato numerose raccolte di poesia e ha ricevuto da Edoardo Sanguineti il premio “Città di Corciano” nel 1995.
Adel & c. è una raccolta articolata e composita, bene strutturata architettonicamente; è formata da sette scansioni: il libro di adel, versus, razza triste, la vedova allegra, epigrafi, ecloghe emiliane, prosette empiriche.
Elemento saliente della poetica di Chiamenti è il fatto che l’autore ci presenta delle poesie tutte caratterizzate da una forte dose di quotidianità.
La raccolta è caratterizzata da molte sfaccettature e tematiche e, tra i temi dominanti ci sono quelli della sessualità e dell’amore gay.
I componimenti sono strutturati in lunga ed ininterrotta sequenza e iniziano con la lettera minuscola.
Il tono è colloquiale e narrativo e tutte le composizioni sono caratterizzate da una grande chiarezza espressiva.
Il libro di Adel può essere letto come un poemetto composto da ventisei frammenti, alcuni scritti in inglese.
Le parti zero e uno sono brani che si possono considerare di prosa poetica o addirittura narrativi tout-court, caratterizzati da un carattere affabulante; in essi di verso in verso l’autore va a capo solo alla fine della pagina.
Dai versi di questo libro, connotato da una grande originalità, trapela una forte angoscia esistenziale e sono dette situazioni estreme che hanno per oggetto lo spaccio della droga e la prigione.
Chi è Adel? Un uomo dalla personalità complessa e tormentata, il protagonista del quale l’io poetante parla in terza persona. In tutta la sezione aleggia un senso di amara ironia e il tono è, a volte, surreale.
In Il libro di Adel è presente una forte dose di realismo che si coniuga a crudezza. Il poemetto è una cronaca minuziosa della vita di Adel, descritta con una grande e varia quantità di particolari
Si tratta di una scrittura di tipo psicoanalitico e, durante la lettura, pare di affondare nelle pieghe della mente di Adel.
Nel poemetto è presente una forte introspezione e serpeggiano i temi della morte, del bene e del male, attraverso atmosfere inquietanti.
In tutta la raccolta c’è un tono onirico e sognante e sembra, leggendo il testo, di compiere una discesa agli inferi nella mente dell’ autore – Adel.
Versus, che ha per sottotitolo una raccolta di cazzi, frizzi e schizzi di cazzo, è un poemetto composito e articolato, costituito da sette parti e ha un carattere irriverente.
C’è, in questa sezione, un tono dimesso e apparentemente volgare; qui la scrittura è vaga e anarchica e c’è una poetica vagamente alogica nei versi e lo stile è rarefatto.
Ricorrente è il tema della scuola (non a caso Chiamenti insegnava). In Aforisma il poeta usa l’ironia e l’io-poetante pone ad uno studente domande per sapere qual’era il frutto del peccato di Eva.
Qui i versi si affastellano nel loro accumulo e sono di lunghezza eterogenea e c’è un’effusione dell’io poetante in un modo totalmente antilirico.
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Raffaele Piazza
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epigramma 3


il professore ha un orinatoio in casa
vespasiano virile “iperetero” a muro

mio nonno teneva in bagno un clistere
con lungo beccuccio e tanica

il motociclista leather usa gel da vacche
e appende al soffitto catene per il fist

perversioni domestiche
per uomini addomesticati
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haiku 4

lei cerca cammino cammino
parla a vanvera ride
dice ci è rimasto solo david bowie e la mail
mi è simpatica ride
sembra un galletto
mi intimorisce anche
tutto smanaccia al vento
cerca cammino cammino
dice qui siamo tutti matti
(e forse è l’unica che infatti lo sa).